Prevenzione anticancro: diagnosi precoce o lobby vorace?
L’anno è iniziato con una notizia, diffusa da tutti i giornali con gran risalto (qui riportiamo quella di Repubblica, ma tutte sono state simili), secondo la quale ammalarsi di cancro dipenderebbe soprattutto dalla sfortuna e non dalle scelte di salute che ognuno può fare.
Purtroppo il termine di “bad luck”, che riporta a concezioni medievali, è proprio quello usato dagli autori dell’articolo pubblicato su Science, e ripreso da tutte le testate del mondo con sorprendente tempismo (Tomasetti C and Vogelstein B, Science. 2015 Jan 2;347(6217):78-81. doi: 10.1126/science.1260825).
Se hai fortuna non ti ammali di cancro e se sei sfortunato ti ammali: questo sarebbe il senso dell’articolo.
Come se improvvisamente l’ILVA di Taranto, Fukushima, i cancri dovuti all’amianto e al fumo diventassero elementi di poco conto e su cui non avesse senso discutere. Come se la prevalenza di certi tipi di cancro dovuta al fatto di abitare a Taranto nei dintorni dell’ILVA o di abitare vicino ad un reattore atomico alterato fosse puramente dovuta alla sfortuna individuale e non agli stimoli negativi dell’ambiente.
Basterebbero queste riflessioni per considerare questa ricerca fra quelle da non mettere in evidenza per un’analisi corretta della situazione epidemiologica. Invece, all’inizio dell’anno, la notizia ha invaso le pagine dei giornali. È vero che nei giorni di vacanza a cavallo del Capodanno c’è poco da scrivere ma questo non giustifica la diffusione di notizie che dal punto di vista sanitario possono suggerire comportamenti alterati e non certo una vera presa di coscienza sulla propria salute.
Come diceva un noto politico italiano, “a pensar male si fa sempre bene”, e in questo senso, quando mi accorgo che una notizia con questo livello di attendibilità scientifica viene improvvisamente diffusa con tempismo eccezionale a livello mondiale, ho il sospetto che una lobby di sostegno a questo tipo di comunicazione stia lavorando con efficienza proprio perché questa venga diffusa.
Eurosalus ha spesso sostenuto battaglie su quale sia la vera prevenzione primaria, cioè quella che ognuno può fare con il movimento fisico, con un’alimentazione sana e con comportamenti e stili di vita congrui con la propria salute.
In realtà invece, a livello comunicativo, la prevenzione primaria viene spesso proposta sotto la forma della diagnosi precoce, che è una prevenzione che avviene “dopo”, secondaria, successiva alla comparsa della forma tumorale.
Lo scopo di tutti sarebbe invece quello di evitarne la comparsa.
Nei confronti del tumore del seno, ad esempio, si sente spesso dire che la mammografia sia prevenzione primaria, mentre si tratta di una prevenzione secondaria che arriva dopo, sicuramente utilissima, ma che non sostituisce certo i comportamenti efficaci nel determinare la salute e nel mantenerla, indispensabili a evitare recidive e problemi anche successivamente alla eventuale scoperta di una forma tumorale.
Le critiche a questo lavoro sono state veramente numerose, soprattutto perché i due autori hanno eliminato dai conteggi alcune forme tumorali strettamente dipendenti dalla alimentazione o dall’ambiente come il cancro della prostata o il cancro della mammella, hanno lavorato sulla replicazione di cellule staminali (non su organismi vivi secondo studi epidemiologici) e hanno espresso dei pareri statistici prontamente confutati da molti colleghi.
Interessante, per chi abbia dimestichezza coi termini medici e statistici, leggere i commenti presenti su Medline. La conclusione finale dei due autori è comunque che nella stragrande maggioranza delle forme tumorali l’unica cosa che possa essere fatta è quella di attivare la diagnosi precoce e le conseguenti terapie e indagini cliniche.
L’epigenetica e la capacità di ogni organismo di attivare geni silenziatori o attivatori anche semplicemente con il movimento fisico oppure con l’assunzione di alcuni antiossidanti naturali e con alcuni cibi funzionali (come le mandorle) non viene nemmeno presa in considerazione.
L’effetto finale di una ricerca come questa è quello di dare “una spinta” ad una modalità di diagnosi e terapia profondamente correlata con l’aspetto farmacologico e non certo al cambio di comportamenti che può invece diventare un caposaldo nella difesa della propria salute e del proprio benessere.
È ovvio che nella statistica medica esista sempre qualcosa di incommensurabile: nei commenti dei diversi articoli pubblicati nei giorni scorsi, si legge spesso il richiamo personale alla storia dello zio o del nonno che pur fumando tantissimo, non si è mai ammalato ed è morto ultracentenario, o all’opposto, la storia di persone molto sane dal punto di vista del comportamento che hanno invece incontrato sulla loro strada la forma tumorale in età giovanile.
Si tratta fortunatamente di eccezioni dal punto di vista statistico e non della consuetudine.I lavori svolti dalla WCRF (World Cancer Research Fund) che hanno correlato dieta, tumore, resistenza insulinica e ambiente sono validi e stanno facendosi strada finalmente dalla coscienza popolare.
La possibilità di contrastare la sfortuna (bad luck) con i comportamenti salutari (healthy choices) è saldamente nelle mani di ognuno. Questo significa ridare ad ogni persona la consapevolezza della propria autonomia e la capacità di agire per il proprio benessere.
Lasciare spazio a affermazioni come quelle fatte nell’articolo citato apre solo la strada ad una dipendenza da esami, da farmaci e da indagini diagnostiche o cliniche che poco hanno a che vedere con una salute che sia espressione della autonomia che ogni essere umano merita di conquistare.