Voglia di qualcosa di buono o dipendenza da zucchero?
DOMANDA
Gentilissima Dottoressa, come si giustifica la voglia di dolce? Soprattutto, come la si può gestire senza danni alla linea e alla salute? Grazie mille per l’eventuale risposta.
RISPOSTA
Gentilissima Lettrice,
in un’ottica evoluzionistica, l’attrazione per il dolce è spiegata dal fatto che tale gusto viene associato ad alimenti con elevato potere energetico e nutritivo, fondamentali nelle prime fasi di vita.
Si tratta di preferenze innate che nel corso della crescita possono modificarsi in favore di risposte apprese. Da un punto di vista simbolico, inoltre, il gusto dolce richiama stati emozionali legati a qualcosa di buono, gratificante e rassicurante.
Molto spesso, però, dietro alla voglia di dolce si nasconde una vera e propria dipendenza da zuccheri, quello che in inglese è noto come fenomeno di craving (desiderio, bramosia). Si tratta di una ricerca irrefrenabile di alimenti a elevato contenuto di carboidrati semplici ed in particolar modo di quelli con alto indice glicemico, come dolci, biscotti, pane bianco ecc.
Per capire come funziona il craving è utile conoscere gli elementi che lo controllano. Esso è regolato da segnali neuroendocrini che sono influenzati dalle nostre scelte alimentari, dall’attività fisica svolta, dallo stile di vita e anche dallo stress psicofisico a cui siamo sottoposti.
Infatti, lo stato emotivo influenza le scelte alimentari e molto spesso i cibi vengono preferiti proprio in base all’effetto che producono sull’umore. Serotonina, dopamina e beta-endorfine (oppioidi endogeni) sono i principali neurotrasmettitori coinvolti con le sensazioni di piacere, calma e gratificazione.
La serotonina è il neurotrasmettitore che regola il ritmo del sonno, la soglia del dolore, la sazietà, la sensazione di serenità. Una sua carenza rende irritabili e aumenta la voglia di dolci.
La serotonina, infatti, viene prodotta dal cervello quando mangiamo alimenti che contengono carboidrati. L’aumento della concentrazione degli zuccheri nel sangue, fa entrare in gioco l’insulina, che oltre riportare la glicemia a valori normali, favorisce l’ingresso nei neuroni del triptofano (un aminoacido presente anche nei cereali e nel latte) precursore della serotonina.
Il problema di questo meccanismo, sta nell’azione proinfiammaroria che può avere la scelta degli zuccheri sbagliati, cioè di quelli ad alto indice glicemico. Il loro abuso, infatti, crea uno stato di infiammazione cronica capace di attivare un’enzima, l’indoleamina che degrada il triptofano riducendone la disponibilità.
L’effetto finale è dunque un circolo vizioso che spinge alla ricerca continua di zuccheri ma produce depressione, obesità e ulteriore infiammazione.
La dopamina è invece il neurotrasmettitore che stimola la ricerca della gratificazione, in ogni sua forma ed infatti è coinvolto in tutti i fenomeni di “dipendenza”.
Una sua carenza si verifica spesso nei momenti di stress e fa sentire stanchi e demotivati inducendo la ricerca di quelle sostanze che ne attivano il rilascio.
I cibi ricchi di grassi, zuccheri e proteine sono tra queste perché contengono fenilalanina e tirosina, due aminoacidi che l’organismo utilizza per produrre dopamina.
In questo caso il rischio di cadere nella trappola del junk food ricco di grassi e caboidrati raffinati è molto alto. Scegliere cibo di qualità farà la differenza.
Infatti, molti cibi sani sono in grado di regalare buon umore e appagamento: banane, albicocche, frutta secca, cioccolato fondente, cereali integrali sono ricchi di sostanze che agiscono in modo naturale sulla biochimica cerebrale.
Un pasto ben bilanciato, composto da cereali integrali, verdure e proteine sane dovrebbe di per sé già lasciare soddisfatti, ma se ancora abbiamo la sensazione che “manchi qualcosa”, un quadrato di buon cioccolato fondente (almeno con l’80% di cacao) o qualche noce o mandorla chiuderanno il pasto senza sensi di colpa.
Un’altra innocente possibilità è quella di concludere il pasto con un frutto come la banana o le albicocche quando sono di stagione oppure con 2-3 noci o 6-7 mandorle.
Per impedire l’instaurarsi di un circolo vizioso abbiamo dunque a dispozione numerose strategie. Non ultima, l’attività fisica di tipo aerobico, come correrre, camminare a passo svelto, nuotare, che permettono di mantenere elevata la quantità di serotonina e degli altri oppioidi endogeni, regolando la voglia di dolce.
In una recentissima review pubblicata sulla rivista Nutrition i ricercatori hanno cercato di individuare le basi neurobiologiche che correlano le alterazioni del tono dell’umore con il craving verso i carboidrati e l’obesità con lo scopo di individuare i possibili target biochimici per intervenire con supporti terapeutici.
Tuttavia, sappiamo bene che il primo intervento sta nelle nostre scelte alimentari, assecondare la biologia del nostro organismo in modo intelligente è la prima medicina.