Quando il cibo ti droga: disintossicarsi è possibile
«Quella crema è incredibile: posso stare mesi senza mangiarla, poi la vedo, ci finisco dentro, e fino a che non finisce il barattolo è un disastro». Lo diceva un’amica qualche giorno fa e l’esperienza è molto più che condivisibile: ciascuno l’ha quasi sicuramente sperimentata, almeno una volta nella propria vita.
I produttori di alimenti ci giocano spesso: quando si crea dipendenza, il cliente tenderà a finire prima la confezione e a scegliere ripetutamente il prodotto. Ciò significa un vantaggio rispetto ai concorrenti e un guadagno economico davvero significativo.
Che ciò porti il consumatore ad una difficoltà crescente nello smettere di mangiare e che spesso questa abitudine si traduca in danni anche importanti alla salute è poco rilevante rispetto al profitto che ne viene, nell’ottica della multinazionale più o meno potente.
Di fatto, tra le sostanze che più tipicamente sono utilizzate per creare “dipendenza” ci sono lo zucchero e il sale, seguiti a ruota dai grassi idrogenati.
Queste sono, guarda caso, proprio quelle sostanze che più di tutte vanno a creare e costruire obesità, ipertensione, aterosclerosi, contribuendo a mantenere anche quell’infiammazione periferica che è alla base di tante problematiche tra le quali ad esempio il mal di testa cronico, l’acne, fino ad arrivare al morbo di Chron e alla rettocolite ulcerosa.
Ecco che la “dipendenza da cibo” diventa un concetto estremamente chiaro alle multinazionali alimentari e non solo.
Ciò si scontra decisamente con quanto ha pubblicato la BBC qualche settimana fa, un articolo sul fatto che spesso la dipendenza da cibo venga utilizzata dalle persone per mangiare di più: il fatto che una persona sia dipendente dal fumo, non vieta di utilizzare la propria forza di volontà (o la propria intelligenza) per ridurne il quantitativo o per smettere di abusarne; vale lo stesso per zucchero, grassi idrogenati, sale.
Se le persone mangiano molto, delle stesse cose, con la sensazione di non riuscire o di non aver voglia di mangiare altro, è probabile che una qualche sorta di “dipendenza” si sia creata senza nemmeno rendersene conto.
Ecco che l’articolo in lettura vuole essere una rassicurazione rispetto al fatto che liberarsi della propria “schiavitù” alimentare è possibile, con un minimo di intraprendenza, forza d’animo e intelligenza, proprio come accade per il fumo e qualche volta in maniera ancora più semplice.
Spesso basta qualche giorno di “disintossicazione” per scoprire un mondo e un universo di gusti e sapori che porteranno a passi più decisi verso la salute e soprattutto il benessere psico-fisico di ciascuno.
L’uso eccessivo degli zuccheri affinati è ad esempio uno degli incriminati per lo sviluppo così ampio della depressione negli ultimi decenni, anche tra gli adolescenti.
Se per alcuni, che comunque continuerebbero a mangiare in maniera esageratamente abbondante in ogni caso, sapere che alcuni tipi di cibo creino dipendenza può essere una scusa, per altri, la stessa nozione può essere uno stimolo bello, positivo, e funzionale per sapere il motivo delle proprie scelte alimentari, creare la volontà di voler cambiare abitudine e farlo, con la coscienza assoluta di esserne in grado.
Da anni in SMA (Servizi Medici Associati, Milano) ci si occupa di guidare, supportare e accompagnare le persone che vogliono farlo, attraverso questa bella, potente e utile conquista.