Se il glutine diventa un’opinione la scienza scompare
Una volta si proponeva di chiudere una discussione davanti ad un piatto di pasta. Oggi la discussione è “sul” piatto di pasta e coinvolge in modo pesante scienza, pubblicità, informazione e correttezza di comportamento.
Nei giorni scorsi abbiamo segnalato la pubblicazione nella parte “Practice” del British Medical Journal di una conferma sulla diagnosi e sulla terapia del crescente numero di persone che soffrono di sensibilità al glutine non celiaca.
In pratica, secondo una serie di studi scientifici ben documentati e effettuati correttamente, la Gluten sensitivity potrebbe arrivare a coinvolgere fino al 25-30% della popolazione apparentemente sana.
Un numero enorme di persone, che improvvisamente potrebbe determinare un diverso orientamento dei consumi.
Ci sembra che questo aspetto, quello della difesa di un consumo, sia la motivazione più forte della risposta pubblicata dalla stessa rivista, ospitando il parere di un medico che ha pesantemente contrastato quella interpretazione basata su solide basi scientifiche.
Francamente non riusciamo a trovare altra giustificazione alla livida lettera del medico scozzese cui è stato comunque dato ampio risalto.
Il collega, a fronte dei lavori scientifici documentati e certi sulla Gluten sensitivity oppone solo una serie di opinioni e convinzioni relative alla inesistenza della intolleranza al glutine, perché, sostiene costui, le intolleranze sono solo espressione di “cattiva medicina” e decisamente “non esistono”.
Anzi, il collega rincara la dose dicendo che anche i medici (suoi colleghi) che hanno studiato a lungo come lui, che addirittura seguono per se stessi dei principi nutrizionali di controllo del glutine, non possono essere considerati scientifici perché basano la loro conoscenza solo su opinioni (D. Spence BMJ. 2013 Jan 30;346:f529. doi: 10.1136/bmj.f529).
Lo ripete, “le intolleranze non hanno documentazione” quindi chi le studia o le identifica nella sua mente farebbe probabilmente meglio a fare altro.
Per sostenere “scientificamente” le sue affermazioni, anziché presentare lavori o ricerche, il collega riprende frasi estrapolate da siti commerciali o da volantini antichi dicendo quindi che qualsiasi riferimento alle intolleranze non può che essere accomunato con gli aspetti deleteri di queste pratiche.
Non si trova nessun riferimento a quello che l’immunologia sta scoprendo. Nessun riferimento ai dati che molti lavori stanno documentando e all’evoluzione dell’immunologia moderna.
Ci riporta al 1600, quando il Cremonini (oppositore della concezione copernicana dell’Universo) si rifiutava di guardare nel cannocchiale di Galileo per evitare di avere la conferma di una tesi diversa.
Non si tratta di un caso isolato: quella lettera è l’espressione di chi non vuole vedere i dati correlati alla infiammazione indotta dal cibo. E oppone alle ricerche scientifiche che crescono di valore solo la comunicazione di slogan ripetuti che non riescono a dire nulla di nuovo.
Il mondo oggi è affamato di trasparenza, che è diventata un diritto per tutti. La sensazione che le diatribe scientifiche siano ormai solo una questione di lobby non lascia ben sperare in un futuro libero in cui le persone possano curarsi in modo rispettoso della propria individualità, anche se noi non molliamo e continuiamo a lottare per ciò in cui crediamo.