Galileo, Omeopatia e Verità. Ovvero: non guardare nel cannocchiale per paura di vedere le stelle
Difendere una ricerca aperta al mondo delle medicine non convenzionali serve a garantire la possibilità che in futuro la medicina non ci pensi solo come pezzi da smontare e rimontare.
Ma una gran parte del mondo accademico attuale si oppone al riconoscimento dei tanti e importanti lavori scientifici sull’omeopatia. Come quel Cremonini, scienziato contemporaneo di Galileo, che si rifiutava di guardare nel cannocchiale per paura di dover cambiare le proprie convinzioni sul cosmo.
Dopo anni di assoluto rifiuto di una qualsiasi validità alle medicine non convenzionali (da adesso MNC), finalmente, al congresso della FNOMCEO di Terni del 18 maggio 2002 la Federazione Nazionale Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri ha riconosciuto l’esistenza di una immagine dell’uomo che tenga conto di tutti gli aspetti relativi a salute e malattia, anche non riconducibili a schemi predefinibili.
Ha inoltre ravvisato l’opportunità di integrare medicine e pratiche non convenzionali di cui possa beneficiare il cittadino e si è posta a garanzia della corretta integrazione nel rispetto dei principi della cautela e della correttezza applicativa (La Professione, numero 5-6 maggio/giugno 2002, pagine 4-8).
I motivi che hanno spinto la Federazione ad agire in tal senso sono ovviamente quelli istituzionali di garanzia della corretta attività medica, ma anche quelli derivanti dall’entità del fenomeno.
Secondo i dati ISTAT, 9 milioni di italiani si curano o si sono curati con le medicine non convenzionali e il 70% di queste persone si è dichiarato soddisfatto delle terapie seguite e dei suoi effetti. I medici invece sono per ora solo 7.000 sui circa 300.000 italiani totali (Medicina Naturale, luglio 2002, pagg 8-10).
Nel momento stesso in cui la dichiarazione è stata resa pubblica sono comparse sugli organi di stampa le reazioni indignate di molti esponenti accademici.
In particolare le indicazioni del farmacologo Giuseppe Remuzzi, coordinatore delle ricerche dell’Istituto Mario Negri, che negava qualsiasi possibile validità alla medicina omeopatica e alle pratiche non convenzionali, irridendo con questo i circa 50 milioni di europei che usano questo tipo di terapie per curarsi.
La critica più forte sembrerebbe legata alla supposta mancanza di lavori scientifici sull’omeopatia.
Questo veniva scritto sul Corriere dell Sera del 14 giugno 2002, e il farmacologo Silvio Garattini riprendeva il tema su La Repubblica di qualche giorno dopo dichiarando che “accettare l’omeopatia come medicina scientifica provata è come dire che l’oroscopo offra verità indiscutibili”.
Il problema è perfettamente condivisibile, se non fosse che ormai i lavori scientifici sull’omeopatia sono numerosi e importanti, ma la posizione ideologica di molti ricercatori accademici è di negare comunque e sempre, anche la stessa evidenza scientifica.
Lo stesso Remuzzi infatti sul Corriere Salute del 7 luglio 2002 (pagine 4 e 5) ribadisce il suo NO all’omeopatia analizzando un lavoro del 1996 sviluppato in modo iperscientifico e soprattutto in vitro.
Le parole di Remuzzi svelano la presa di posizione già predefinita del ricercatore: infatti pur riconoscendo al lavoro un profondo valore scientifico, anziché analizzare un fatto dicendo che forse le nostre conoscenze devono essere ampliate, sostiene che i risultati contraddicendo qualunque principio della biologia e della scienza (da lui conosciuta) non possono essere considerati in alcun modo, spingendosi addirittura a dire che il lavoro potrebbe essere frutto di un artefatto (modo gentile per dire che i ricercatori hanno barato!).
Il problema severo è questo: la scienza serve per progredire, i ricercatori del Mario Negri pensano probabilmente che la scienza debba semplicemente confermare quanto da loro già saputo. Ecco perché il richiamo a Galileo.
Nei mesi successivi alla invenzione del cannocchiale, nel 1610, Galileo Galilei fu invitato a mostrare il nuovo spettacolo delle stelle a nobili, vescovi e scienziati di mezza Europa: da Venezia ai Giardini del Quirinale, da Siviglia a Lisbona. Egli però suscitava avversioni e gelosie nell’intera comunità scientiica dell’epoca, fedele alle dottrine di Aristotele.
Tra i personaggi di spicco dell’epoca c’era il peripatetico Cesare Cremonini, personalità dei Riformatori dello Studio di Padova, illustre docente di Filosofia a Ferrara e a Padova, che si ostinò nel rifiuto ad osservare il cielo col cannocchiale, per non scorgervi le novità scientifiche che incrinavano la dottrina aristotelica di cui era strenuo difensore.
Pur conoscendo Galileo ed essendo con lui in rapporto di amicizia, era un acerrimo avversario delle idee nuove e rifiutava di porre l’occhio al cannocchiale dicendo “Quegli occhiali imbalordiscono la testa, basta! Non ne voglio sapere altro”.
La citazione storica e il passo seguente, tratto dalla “Vita di Galileo”, biografia scritta postuma nel 1717 dal suo discepolo Vincenzo Viviani, ci sono state fornite da un giornalista estremamente preparato, Stefano Carnazzi, di cui Eurosalus ha già recensito un importante libro sull’inquinamento alimentare.
«Non mancarono già de’ così pervicaci e ostinati, e tra questi de’ constituiti in grado di pubblici lettori, tenuti per altro in grande stima, i quali, temendo di commettere sacrilegio contro la deità loro Aristotele, non vollero cimentarsi all’osservazioni, né pur una volta accostar l’occhio al telescopio; e vivendo in questa lor bestialissima ostinazione, vollero, più tosto che al lor maestro, usar infedeltà alla Natura medesima».
Il Corriere della Sera ha presentato nel suo inserto sulla Salute, un titolo molto orientato nel difendere le opinioni di Remuzzi, mettendosi in una posizione sicuramente di parte nella discussione.
Il titolo su tutta la prima pagina diceva “Omeopatia fuori le prove!”, mentre il sottotitolo si chiedeva se esistessero studi scientifici sull’omeopatia, cui il corriere già evidenziava la risposta in grassetto: NO!
Questo in modo contrario a quanto poi scritto all’interno dove negli articoli di Franca Porciani, viene invece mantenuta una presentazione imparziale per consentire al lettore più attento di farsi una personale opinione.
Appare comunque stridente una prima pagina del Corriere Salute già impostata, per i lettori distratti, nel confermare una negazione del valore dell’omeopatia, quasi che la volontà fosse quella comunque, di “voler usare infedeltà alla Natura medesima, piuttosto che fare torto ad un loro maestro” che oggi non è più Aristotele, ma qualcosa che è probabilmente connesso con il mondo del farmaco.
L’importanza degli interessi commerciali connessi all’uso del farmaco (soprattutto di alto costo e per uso continuativo e cronico) è notevole. Se una casa farmaceutica orientata solo al trattamento di determinate patologie solo con farmaci di un determinato tipo sovvenziona l’Università fornendo fondi per la ricerca, spesso condiziona indirettamente il modo di pensare dei futuri medici, che restano orientati solo al farmaco per pensare una guarigione.
Giova ricordare un aneddoto figurato in una barzelletta in cui il medico chiede al proprio paziente se preferisce, per risolvere una grave patologia, una dieta o un intervento chirurgico. La persona malata risponde subito che sceglie l’intervento chirurgico, perché le assicurazioni non rimborsano i costi di una dieta.
Orientare le scelte dei medici solo sull’uso farmacologico e negare altri approcci che vogliono essere studiati in modo scientifico può diventare colpevole sul piano personale e sul piano sociale.