L’individualità è compatibile con la scientificità?
Ogni essere umano è diverso dall’altro, ma la medicina convenzionale utilizza cure standardizzate che nella maggior parte dei casi poco hanno a che fare con l’individualità della risposta del sistema immunitario.
Diversi studi, tuttavia, vanno segnalando oggi come la risposta individuale sia un bene prezioso per la nostra salute, e non solo una fastidiosa variabile in grado di interferire con il risultato delle ricerche scientifiche.
Uno studio condotto presso l’Università della California e pubblicato lo scorso dicembre (Soonmyung P et al. A multigene assay to predict recurrence of Tamoxifen-treated, node-negative breast cancer, NEJM, December 30, 2004, N. 27, 351:2817-2826), per esempio, ha preso in esame la comparsa di metastasi in donne con tumore al seno dopo il trattamento con Tamoxifene. Le donne che hanno partecipato allo studio non avevano metastasi prima del trattamento.
Le particolarità cromosomiche di ogni donna, cioè l’espressione della individualità, ha mostrato di avere un elevato valore predittivo rispetto alla possibilità di sviluppare metastasi nonostante il trattamento clinico, uguale per tutte, e anche rispetto all’indice di sopravvivenza alla malattia tumorale.
Un risultato che si scontra con l’assolutismo che la medicina moderna mostra spesso, soprattutto quando deve confrontarsi con terapie non convenzionali (nel caso Di Bella, per esempio, l’atteggiamento era: “gli schemi scientifici elaborati per la cura del tumore devono valere per tutti”).
Un assolutismo che, ben lungi dal poter essere definito “scientifico”, tende piuttosto a escludere l’esplorazione di nuove possibilità.
La radice individuale del nostro benessere (che dipende da una molteplicità di fattori genetici, ambientali, psicologici, biologici, alimentari e legati allo stile di vita) è profonda, e anche tra i tumori più noti e codificati esistono differenze di risposta valutabili secondo criteri logici e analitici.
Se questo è vero per i tumori, a maggior ragione possiamo registrare tali differenze in altre patologie. Perfino la medicina convenzionale riconosce la necessità di una valutazione individuale nella prescrizione dei farmaci volti a contenere il rischio cardiovascolare (tanto da far fallire l’idea apparentemente brillante di una “polipillola” uguale per tutti). Ma di fronte, per esempio, a un mal di denti, o a un’allergia, utilizza un rimedio uguale per tutti.
L’omeopatia, tanto svalutata dalla medicina ufficiale ma non a caso sempre più popolare nel pubblico in generale, lavora da sempre attraverso schemi di lettura diversi, ma probabilmente validi.
Se di fronte a un dolore tiene conto del fatto che il sintomo migliori con applicazioni calde piuttosto che fredde (una differenza banale e tuttavia preziosa da conoscere quando non abbiamo in casa nessun analgesico…) e prescrive rimedi diversi nei due casi, lo stesso fa nel caso di patologie più importanti. Mentre la medicina convenzionale si affida di norma sempre a farmaci dello stesso tipo.
Molti di questi farmaci, se usati bene, sono utilissimi, e non avrebbe senso negarsi la possibilità di accedervi nelle occasioni in cui servono.
Ma non devono mai farci scordare il valore altissimo dell’individualità, che oggi si manifesta sempre di più come l’elemento capace di rendere conto della risposta clinica.