Italiani incapaci di intendere, volere, e capire: omeopatia e libertà terapeutica
Sconvolgente l’esito della votazione con cui il Consiglio nazionale di bioetica (direttamente nominato dalla Presidenza del consiglio) ha sancito l’altro ieri che medici e pediatri non dovrebbero curare i bambini con l’omeopatia o con altre medicine dolci.
La motivazione più importante sembra essere che il minore di 18 anni non può esprimere un valido consenso informato, e quindi dovrebbe rivolgersi solo alle terapie cosiddette scientifiche.
È ovvio che il minore non può esprimere neanche un consenso valido per l’uso delle medicine scientifiche, responsabili in questi anni di molti successi ma anche di disastri di dimensioni immense (talidomide, Vioxx, Lipobay, margarine, resistenza batterica, vaccinazioni).
Con queste premesse sarebbe stato più accettabile un parere orientato alla libertà di scelta, ma si è voluto segnalare che un genitore che vota, che paga le tasse, e che cresce un figlio con tutte le difficoltà che non sempre il governo supporta, non può esprimere per il proprio figlio, attraverso un consenso informato, una scelta di libertà terapeutica sancita per altro dall’articolo 32 della Costituzione.
Le medicine scientifiche non sono divine e infallibili, ma sembra che il comitato preferisca andare comunque nella direzione dell’obbligo al loro uso. Sono numerosi i critici di questa decisione che vedono solo l’espressione di un interesse economico per non lasciarsi sfuggire il mercato legato all’attuale 10,4% dei bambini italiani che si curano con medicine dolci. Un numero che è in costante crescita negli ultimi anni, e non per caso.
Sostenere che le medicine naturali possono essere utilizzate per curare i bambini solo nelle situazioni non patologiche rischia, per altro, di esacerbare la posizione intransigente di una parte dei cittadini invece di psicofarmaci), genera in tanti genitori una sfiducia generale nel medico classico, portandoli a svalutare l’aiuto prezioso che può dare nei confronti delle patologie più gravi.
Rinunciare a difendere, oggi, il diritto alla libertà delle nostre scelte terapeutiche rappresenta un rischio altissimo di assuefazione a una libertà che è solo apparente. Per questo ci sentiamo direttamente impegnati nella difesa di questo diritto, per noi stessi e per i nostri figli, anche senza il loro consenso informato.