Fruttosio, frutta e obesità: legami sempre più stretti
L’eccessiva utilizzazione di fruttosio, su base individuale, può avere effetti opposti a quelli cercati e trasformarsi in un possibile “killer” della salute. Nonostante il suo basso indice glicemico, il fruttosio arriva subito al fegato e viene rapidamente trasformato in grasso, esattamente come l’alcol che segue le stesse vie metaboliche.
Gran parte di queste conoscenze sono recenti, legate alla comprensione dei meccanismi pro infiammatori della glicazione (dovuti al fruttosio e al glucosio in eccesso) che sono dannosi per l’organismo.
Fin dal paleolitico, ogni essere umano possiede un meccanismo difensivo che a fronte della percezione del gusto dolce, attiva la ricerca di ulteriore zucchero per farne scorta.
Nell’antichità infatti gli zuccheri erano scarsi e la possibilità di trovare occasionalmente un favo di miele oppure un albero pieno di frutta matura, lanciava un messaggio utilissimo, simile a quello del “Pancia mia fatti capanna”, un invito cioè a riempirsene il più possibile per accumulare tutta l’energia possibile.
Oggi, mentre il sovrappeso, l’obesità e le malattie metaboliche stanno diventando la prima causa di morte nel mondo occidentale, forse non si tratta più di un messaggio utile ed è sicuramente preferiibile capire quali siano gli strumenti per evitare che quel messaggio di accumulo si attivi costantemente nella quotidianità di ogni persona.
Sappiamo che il glucosio, lo zucchero e addirittura i dolcificanti artificiali sono induttori di ingrassamento in virtù dei segnali che inviano all’organismo e non solo per le calorie che rappresentano. Inoltre dal 2017 la ricerca scientifica ha permesso di scoprire che il 62% delle reazioni infiammatorie o allergiche di cui non sia chiara l’origine, può derivare dai prodotti di glicazione, dovuti alla presenza eccessiva nell’organismo di fruttosio e di glucosio.
Gli stessi meccanismi di glicazione sono indotti anche dall’alcol e dai polioli ed è infatti fondamentale capire dove si trovino gli zuccheri che possono contribuire ad alzare i livelli di glicazione dell’organismo.
Non si tratta quindi solo degli effetti dello zucchero (bianco o di canna che sia), ma degli zuccheri (al plurale) che comprendono anche glucosio, fruttosio e altri ancora.
L’industria non aiuta a cercare soluzioni salutari. Negli ultimi anni anzi, il quantitativo di zucchero e di sale presenti in cibi apparentemente sani, come i cereali per la prima colazione, è cresciuto in modo del tutto inutile, al solo scopo, probabilmente, di aumentare i meccanismi di dipendenze nell’acquisto.
La peggiore azione però deriva forse dall’uso, diffusissimo negli USA, molto diffuso comunque nel mondo, e in crescita anche in Italia, di inserire tra gli ingredienti una vera abbondanza di fruttosio che arriva dallo sciroppo di mais (HFCS High Fructose Corn Syrup), usandolo come dolcificante in praticamente tutti i prodotti industriali.
Il tutto parte probabilmente dalla errata considerazione dell’Indice Glicemico (che valuta quanto un cibo innalzi la glicemia) senza che tenga minimamente in conto di quanto faccia innalzare il livello dei grassi nel sangue (Trigliceridi) o determini invece una infiammazione del fegato.
Il fruttosio segue una via diversa da quella del glucosio per essere metabolizzato, e non subisce limitazioni. Tutto il fruttosio viene indirizzato direttamente alla trasformazione in grasso, senza alzare la glicemia in modo diretto.
Basta pensare che 3 bicchieroni di Barolo (o di qualsiasi altro vino) hanno un indice glicemico bassissimo, ma non significa certo che non facciano ingrassare. Il fruttosio facilita questo tipo di ingrassamento e i lavori scientifici che lo dimostrano cominciano ad essere numerosi e suggeriscono riflessioni più attente sul suo ruolo.
In particolare poi, la comprensione della azione infiammatoria del fruttosio in eccesso, attraverso la formazioni di prodotti di glicazione, ha consentito, almeno dal 2017 in avanti, di capire che l’uso degli zuccheri (sempre al plurale…) contribuisce alla induzione di una delle tre forme di infiammazione da cibo oggi conosciute.
Inoltre, l’infiammazione da alimenti (e il relativo aumento di BAFF) può contribuire ancora di più a creare effetti metabolici dannosi.
Analizzo solo alcuni aspetti relativi al fruttosio, ricordando che i danni derivano dal suo uso come dolcificante, dal suo uso in eccesso e non certo dall’uso in giusta quantità della frutta intera (che pure contiene fruttosio).
L’attività protettiva antitumorale della frutta intera è assolutamente confermata, mentre appare ormai chiaro che la frutta privata della sua fibra (succhi di frutta) o le marmellate preparate con zucchero della frutta interferiscano, in particolari condizioni nella crescita dell’obesità.
Quando poi il fruttosio è usato come dolcificante i danni sulla salute sono evidenti:
- Aumento della resistenza insulinica con facilitazione di diabete, obesità e malattie metaboliche (Sartorelli DS et al, Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2009 Feb;19(2):77-83. doi: 10.1016/j.numecd.2008.04.004. Epub 2008 Aug 3).
- Induzione dell’obesità e facilitazione del declino cognitivo, situazione che può in parte essere compensata dall’uso di Omega 3 (come olio di Perilla e olio di pesce) che hanno azione protettiva nei confronti di questa situazione (Lakhan SE et al, Nutr J. 2013 Aug 8;12:114. doi: 10.1186/1475-2891-12-114).
- Possibile ruolo di attivatore dell’obesità quando assunto dalla madre durante le prime fasi della gravidanza (Goran MI et al, Nat Rev Endocrinol. 2013 Aug;9(8):494-500. doi: 10.1038/nrendo.2013.108. Epub 2013 Jun 4).
In sintesi quindi, la problematica della dolcificazione, pur in attesa di ulteriori conferme scientifiche, sembra essere più devastante di tante altre condizioni tossicologiche ambientali.
Dal mio punto di vista, come immunologo, mi rendo conto però della crescita, negli ultimi anni, di fenomeni di reazione metabolica alla frutta.
Persone abituate a mangiare dolci che contengano fruttosio, addirittura a vederlo pubblicizzare come “sano”, identificano elementi di reazione nei confronti del fruttosio e di ciò che gli assomigli (come avviene per i fenomeni dell’infiammazione da cibo), manifestando possibile reazione infiammatoria anche nei confronti della frutta intera.
Quando si genera infiammazione, l’organismo risponde con una reazione difensiva, cercando di accumulare grasso, poiché citochine infiammatorie come il BAFF o il PAF inducono, al pari dei prodotti di glicazione, una resistenza insulinica maggiore e uno stimolo all’ingrassamento
Nel centro SMA in cui lavoro seguiamo da anni le persone con problemi di sovrappeso con criteri di impostazione nutrizionale scelti individualmente, attraverso specifici percorsi terapeutici. Sempre più siamo consapevoli che la risposta infiammatoria agli alimenti e l’induzione all’obesità dipendono dalla infiammazione presente nell’organismo, da caratteristiche individuali di sensibilità insulinica, dalle caratteristiche genetiche individuali e dal profilo alimentare individuale.
Si può uscire da questa situazione sociale di epidemia di obesità attraverso scelte nutrizionali che non sono legate al conto delle calorie o all’inutile Indice Glicemico, ma alla attivazione del metabolismo per mezzo di piani individuali di tipo nutrizionale e soprattutto attraverso la ricerca di indici di riferimento (test PerMè ad esempio) che studino maggiormente le risposte individuali all’alimentazione senza limitarsi alle caratteristiche generali degli alimenti.