Altro che prezzemolo! Lo zucchero è dovunque
Consapevoli del fatto che l’obesità e il diabete sono ormai diventati, nel mondo occidentale, vere e proprie malattie sociali in vertiginoso aumento, le case alimentari hanno deciso una drastica riduzione delle quantità di zucchero presenti nei loro prodotti.
Ecco finalmente una notizia confortante: dopo anni, decenni dominati dalla follia, forse il buon senso sta tornando a prevalere.
Eh sì, è un’ottima notizia. Peccato che non sia vera. Che, anzi, sia del tutto falsa. Che, addirittura, sia l’esatto contrario della verità.
La notizia vera, ripresa recentemente con una certa enfasi dal Sunday Times (l’edizione domenicale del più prestigioso quotidiano del pianeta), è infatti questa: negli ultimi anni le case alimentari hanno drammaticamente aumentato, in alcuni casi fino a raddoppiarla, la quantità di zucchero contenuta nei loro prodotti.
Le ragioni di questo atto all’apparenza insensato sono due. La prima risiede nelle papille gustative dei consumatori, cioè nel nostro palato assuefatto a mangiar schifezze fin dall’infanzia. La maggior parte dell’umanità, nelle nostre società opulente, predilige il gusto dolce. Lo cerca anche dove non dovrebbe esserci. E l’industria alimentare, amorevolmente, la soccorre, aggiungendo zucchero ai prodotti.
La seconda ragione risiede parecchio più in basso del palato: nelle tasche. Lo zucchero costa poco, e anzi in Europa costa sempre meno, perché l’Unione Europea, con una politica a dir poco discutibile, sta operando da anni in direzione di una riduzione del suo prezzo.
Sembra poco accorto abbassare il prezzo dello zucchero in un mondo di obesi e di diabetici. Eppure accade.
Dopo anni di campagne contro i disturbi da ipertensione, l’occhio del consumatore si è fatto attento alle quantità di sale presenti negli alimenti. Molto meno, evidentemente, a quelle di zucchero. Perciò, dovendo scegliere un ingrediente poco costoso da aggiungere ai prodotti, l’industria alimentare sostituisce il sale con lo zucchero.
Qualche grammo in più di zucchero, in una confezione, ad esempio, di corn flakes, costa certamente meno di qualche grammo di corn flakes. Al produttore: al consumatore, tale quale e, alla sua salute, assai di più.
I redattori del Sunday Times, da quei bravi giornalisti britannici che sono, sono andati a confrontare i contenuti di zucchero di alcune confezioni di prodotto nel 1978 con quelli delle stesse confezioni, delle stesse marche, oggi. Hanno fatto alcune scoperte interessanti.
In una confezione di cereali Kellogg’s, nel 1978, erano presenti meno di 10 grammi di zucchero per 100 grammi di prodotto: oggi sono 17. È la quantità di zucchero presente in un gelato!
Nel 1978, mediamente, in una latta di minestra al pomodoro, c’erano 2,6 grammi di zucchero per 100 grammi. Oggi, in una confezione marca Waitrose, ce ne sono 6,4.
Nel pane integrale si è passati da 2,1 grammi per 100 nel 1978 agli attuali 3,7.
E così via. Notevole anche il fatto che le grandi catene di supermarket si sono orientate, nella scelta di frutta e verdura da esporre sui propri banchi, verso le varietà più zuccherose. Così le banane hanno oggi il 21% di zucchero (contro il 16,2% nel 1978), le pere il 10% (contro il 7,6), le carote il 7,4% (contro il 5,4).
Tutti questi dati si riferiscono al Regno Unito, ma sono senza dubbio indicativi di una tendenza dolcemente perversa del mercato.
Di questo passo, non ci sarà più gusto neppure a fare sacrifici: anche “l’amaro calice” conterrà il 17% di zucchero, come i cereali Kellogg’s. E come un gelato alla vaniglia.