Miele, lieviti e infiammazione da cibo
La conoscenza della composizione alimentare diventa ogni giorno più importante.
Non serve solo avere a disposizione i classici “valori nutrizionali” spesso riportati solo in termini di calorie, proteine, zuccheri e grassi, ma è invece necessario conoscere le componenti che derivano dalla trasformazione dell’alimento, ad esempio dopo la sua cottura o con l’esposizione all’aria.
Basta pensare al fatto che la cottura di un olio lo rende inadatto a chi abbia una reattività alimentare al Nichel, mentre il suo uso “a crudo” è perfettamente consentito.
La necessità di questa conoscenza deriva dal numero sempre crescente di persone con sintomi dovuti ad infiammazione da cibo o a ipersensibilità alimentare.
Gli esempi più lampanti derivano dal crescere di disturbi come la Sindrome del Colon Irritabile, spesso dovuta alla Gluten sensitivity e dalla rilevanza che stanno prendendo i lieviti nella comparsa di malattie autoimmuni.
Grazie a questa conoscenza, nel nostro centro di Milano seguiamo da anni le persone che vogliono guarire da questi tipi di disturbi, attraverso uno specifico percorso terapeutico.
Le “schede” degli alimenti che fanno riferimento ai diversi gruppi alimentari hanno avuto negli anni delle importanti evoluzioni, seguendo i progressi della conoscenza o le acquisizioni di tecnologia alimentare.
L’ampliamento della scheda del lievito con il miele è avvenuto circa una decina di anni fa, grazie alla comunicazione di un apicoltore che seguiva attentamente le nostre pubblicazioni.
Come riportato nel relativo articolo di Eurosalus, l’apicoltore in questione ci informava che il miele contiene sempre dei lieviti osmofili e in alcuni casi anche qualche muffa, e che quindi avrebbe dovuto essere controllato nelle diete adatte a chi reagiva a lieviti e sostanze fermentate.
La sua indicazione trova conferma nelle segnalazioni della UNAPI (Unione Nazionale Associazione Apicoltori Italiani) che spiegano quali e quanti lieviti o muffe possono essere presenti nel miele.
Ricordiamo a tutti che la scheda del “Lievito e delle sostanze fermentate” non fa necessariamente riferimento alla specifica presenza di lieviti o muffe, ma alla fermentazione o ai residui della stessa (che nel miele sono comunque presenti).
Il miele quindi, di qualsiasi origine, è un prodotto che contiene dei funghi microscopici unicellulari (lieviti) osmofili e saccarofili, in grado cioè di sopravvivere e moltiplicarsi anche in un ambiente estremamente ricco di zuccheri, e gli apicoltori sanno perfettamente che quando la presenza di acqua cresce, il miele nelle arnie può andare incontro a fermentazioni imponenti.
Si tratta di microrganismi pressoché ubiquitari che raggiungono il miele attraverso i fiori, il terreno, l’aria, le attrezzature in modo del tutto naturale, per cui tutti i mieli contengono lieviti in misura variabile, da 1 a 100.000 cellule per grammo.
Ebbene, nonostante questo, o forse proprio per questo, il miele è un ottimo alimento e anche chi abbia intolleranze o reazioni specifiche ai lieviti (come nel mio caso) lo può mangiare serenamente nei giorni di dieta libera, senza dimenticare che l’indice glicemico del miele è nettamente minore di quello dello zucchero bianco.
Questo vale per i mieli della comunità europea, che mantengono il loro valore e la loro azione di “alimento vivo e attivo”.
Negli USA invece viene usato, con una connotazione negativa, il termine di “raw honey” o “miele vergine”, come se rappresentasse un pericolo per la salute. Mi piace parlarne perché mi consente di esprimere un parere critico verso un principio di sicurezza alimentare che travalica i suoi obiettivi primari.
In Italia e in Europa è specificamente vietata la definizione di “miele vergine” dal dispositivo della legge comunitaria del 2004 (perché potrebbe trarre in confusione).
Di fatto, tutti i mieli italiani artigianali sono assolutamente “raw” e nessuno in Europa ha mai lamentato i problemi che negli USA alcuni vorrebbero sollevare.
Il miele, negli USA, viene sottoposto ad un processo di pastorizzazione a 60-70 Gradi (che esclude i lieviti del miele e distrugge molte delle sostanze volatili che lo caratterizzano) e sottoposto poi alla microfiltrazione che esclude i pollini (e un mucchio di altri microelementi) dalla sua composizione.
Ritengo alla fine che questo sia solo lo strumento che consente negli USA di caratterizzare una “presunta atossicità del prodotto offerto” teso ad escludere qualsiasi responsabilità civile del produttore, trattandosi di un prodotto vivo e vitale con effetti biologici non del tutto definibili. Rinunciando così agli effetti salutari (documentati da tradizioni millenarie) di un prodotto salutare.
Come se per paura dei fermenti lattici si sterilizzasse lo yogurt prima di consumarlo.
Fortunatamente in Italia il problema del miele non si pone, grazie ad una legislazione europea decisamente più evoluta e rispettosa dell’integrità biologica, anche se comunque chi ha problemi con i lieviti e la fermentazione, continuerà a gustare il miele solo nei suoi giorni “liberi”.