Le statine che aumentano il rischio cardiovascolare invece che diminuirlo
Due tipi di colesterolo: uno si chiama LDL e aumenta il rischio cardiovascolare. L’altro si chiama HDL e lo diminuisce.
L’obiettivo di ogni cura atta a ridurre il rischio cardiovascolare vuole tra le altre cose e in caso di necessità, aumentare la quota di HDL e, solo possibilmente, ridurre quella di LDL.
Tuttavia oggi sono pochi coloro che controllano il valore delle HDL prima di prescrivere le celebri statine, farmaci in grado di abbassare il colesterolo (sia quello “buono” che quello “cattivo”) bloccando l’enzima chiave della sua sintesi. Che tale atteggiamento riduca il rischio cardiovascolare a livello di popolazione è certo. Il fatto che tale scelta terapeutica vada bene sotto ogni aspetto è invece da escludere.
L’ultimo dato che fa riflettere in proposito è quello pubblicato sul British Medical Journal e che vede un aumento del rischio di sviluppare diabete in chi assume statine di nuova generazione, ulteriore rispetto ai trattati con la pravastatina, considerata come “limite zero” (sempre che si tratti già in questo caso di vero “zero”).
Si ricorda lo scopo fondamentale dell’uso delle statine? Era quello di ridurre gli eventi cardiovascolari avversi. I pazienti che sviluppano diabete hanno un rischio di malattia cardiaca tale da far sì che essi siano, da linea guida, trattati come chi abbia già sofferto di danni cardiovascolari in passato. Ricapitolando, le statine aumenterebbero il rischio di patologia cardiovascolare in alcuni pazienti, senza peraltro che questo sia l’unico effetto avverso ipotizzato e convalidato.
Quando si studiano i livelli di colesterolo e i suoi effetti, la prima domanda che ci si pone è: non avrebbe più senso aumentare l’HDL invece che lavorare per diminuire il colesterolo totale? La risposta è sempre la stessa: certo, ma l’HDL, a quanto finora noto, si alza solo con l’attività fisica e lo stile di vita; il che forse rappresenterebbe un motivo in più per occuparsene.
La modificazione dello stile di vita e l’incremento dell’attività fisica agiscono infatti a livello sistemico riducendo non solo il rischio cardiovascolare di cui si “occupano” le statine, ma anche ,ad esempio, quello di sviluppare cancro o neoplasie, e problematiche di tipo depressivo o psichiatrico, andando a toccare le tre grandi problematiche del nostro tempo.
Altri meccanismi possono fare da supporto, l’utilizzo e la prescrizione di olii Omega-3, ad esempio, agisce sulla riduzione dello stesso rischio cardiovascolare, agendo in una logica antiinfiammatoria e di regolazione della funzione cellulare che agisce in maniera esattamente complementare all’attività fisica stessa.
E frattanto che le statine si riscontrano problematiche per lo sviluppo di diabete e per la patologia cardiovascolare stessa (benché si tratti comunque di una quota minima di pazienti rispetto alla totalità trattata), sull’American Journal of Medicine esce uno studio monitorato dalle università di Harvard e del Nebraska.
Questo studio identifica negli studenti che fanno abituale uso di marijuana diminuiti livelli di insulino-resistenza e una minore circonferenza della vita rispetto a chi ne avesse fatto uso in passato, con risultati aggiustati anche per attività fisica e stile di vita.
Parametri di questo tipo risultano protettivi per la patologia cardiovascolare oltre che per le neoplasie di cui si è sopra trattato e per lo sviluppo di diabete stesso, lasciando porte aperte ad ulteriori analisi e valutazioni per trovare elementi che siano di supporto nello sviluppo di una salute (e di una prevenzione) il più possibile duratura e sicura.