Dimagrire: non contano le calorie ma il modo in cui le si mangia
Fino a pochi anni fa, l’obesità e il sovrappeso venivano sempre considerati effetti di un eccesso alimentare.
Le ricerche più recenti, che hanno iniziato a definire l’esistenza di “diete di segnale”, stanno evidenziando che il tema è molto più complesso e che il fatto di mangiare in abbondanza e in modo eccessivo non sia la causa dell’obesità, ma in un certo senso l’effetto di una condizione metabolica proveniente da stimoli esterni che agiscono sull’organismo.
Una vera e propria rivoluzione che sposta l’accento dalle calorie (finora considerate le sole responsabili dell’ingrassamento) alla qualità del cibo, alla composizione del piatto e ai tempi e ai modi in cui viene consumato.
In un articolo pubblicato da pochi giorni su JAMA il dottor Ludwig, medico e ricercatore altamente titolato per parlare di problemi legati all’obesità e al metabolismo (fa parte dell’Obesity Prevention Center del Boston Children Hospital ed è docente della Harvard Medical School), sancisce quanto espresso già negli anni passati da ricercatori che hanno discusso di diete di segnale, di rapporto con l’insulina, di dieta zona, di dieta antinfiammatoria, di indice glicemico e di infiammazione da cibo.
L’interessantissimo “Viewpoint” pubblicato dal JAMA esprime alcuni concetti che è utile evidenziare.
L’assunzione eccessiva di cibo, prolungata nel tempo, rappresenta una manifestazione piuttosto che non la causa della crescente epidemia mondiale di obesità (Ludwig DS et al, JAMA. 2014 Jun 4;311(21):2167-8).
È purtroppo noto che l’utilizzo di diete ipocaloriche per modificare il peso corporeo non mantiene i suoi effetti nel tempo. Solo una piccola percentuale delle persone che modificano il proprio peso è in grado di mantenere un calo del 10% per almeno un anno di tempo.
La concezione evoluzionistica del rapporto con il cibo, il senso della fame e il modo in cui il cibo viene metabolizzato dipende dal fatto di avere a disposizione una quantità plasmatica di possibile “carburante” compresa tra 4 e 6 kcal per litro (glucosio, lipidi ed altro).
Quando si verifica un calo nella concentrazione di queste sostanze, si provoca e si stimola una fame intensa e la ricerca di cibo. In questo l’insulina gioca un ruolo determinante.
Oggi sappiamo che modifiche nella qualità del cibo e nella composizione della propria alimentazione possono indurre obesità, come dimostrato in modelli animali geneticamente normali, in modo completamente indipendente dall’aumento di calorie introdotte.
Un lavoro pubblicato su Lancet ancora nel 2004 ha dimostrato che ratti nutriti con cibi ad alto indice glicemico sviluppavano iperinsulinemia, determinando accumulo di grasso nelle cellule adipose e una aumentata incorporazione di glucosio nel grasso corporeo (Pawlak DB et al, Lancet. 2004 Aug 28-Sep 3;364(9436):778-85)
Quando i topi nutriti con diete ad alto indice glicemico venivano nutriti con basse quantità di calorie (l’equivalente delle attuali diete ipocaloriche con cibi “raffinati”) per cercare di ridurre il loro aumento di peso, contrariamente alle attese continuavano a guadagnare più grasso (il 70% in più) dei ratti nutriti con alimenti ad indice glicemico basso.
Questo spiega (come indicato da Ludwig nel suo articolo sul JAMA) che l’aumento dell’accumulo di grasso in condizioni di introduzione calorica ridotta non può essere spiegato da una visione calorico-centrica della obesità, ma va compreso secondo modelli alternativi.
In questo modello di interpretazione entrano fattori ambientali come la qualità della dieta, l’assunzione di cibi a basso o alto indice glicemico, il giusto apporto di proteine, la limitazione della introduzione di zucchero raffinato come di dolcificanti ipocalorici, il rapporto tra grassi polinsaturi e saturi e l’introduzione di grassi vegetali idrogenati.
Inoltre vengono considerati importanti i micronutrienti presenti nella dieta, il contenuto in polifenoli e la presenza di probiotici e prebiotici allo stesso modo in cui l’attività fisica, il sonno e lo stress possono direttamente o indirettamente influenzare l’utilizzo delle calorie e il loro accumulo nel tessuto adiposo.
L’articolo di JAMA conclude dicendo, come noi sosteniamo da anni, che lo stimolo a mangiare in modo eccessivo non è necessariamente la causa dell’obesità, ma può essere invece secondario alle disfunzioni metaboliche indotte dalla dieta stessa, almeno per quanto riguarda alcune forme di obesità e di sovrappeso.
Per questo motivo nel nostro centro di Milano seguiamo da anni percorsi terapeutici di supporto alle persone in sovrappeso che fanno riferimento alla presenza di citochine infiammatorie presenti nell’organismo, ai valori di BAFF e di PAF, alla infiammazione del cibo e al modo particolare in cui si possa fare attività fisica.
Come diciamo da tempo, “una caloria non è sempre uguale ad una caloria”. Il modo in cui l’organismo trasforma in grasso le calorie introdotte dipende da numerosi fattori che non sono solo legati alle calorie presenti in un cibo, ma alla modalità in cui questo è composto, all’orario in cui viene mangiato, al modo in cui è masticato, al contesto in cui è utilizzato e così via.
Si tratta quindi di impostare un cambio di stile di vita che possa portare a raggiungere la propria forma e il proprio benessere in modo stabile, non solo conteggiando le calorie descritte sull’etichetta di un prodotto, ma capendo come il cibo diventi parte di noi per un rapporto completo con l’energia e con il proprio benessere.