Rischio depressione in aumento con succhi di frutta e soft drink
I soft drink (le tipiche bevande zuccherate, per intedersi), i succhi e le bevande alla frutta aumentano in maniera estremamente significativa il rischio di depressione. Questo il risultato allarmante di uno studio condotto presso il celebre Reaseach Triangle Park in North Corolina e sovvenzionato, tra gli altri, anche dall’Istituto Nazionale della Salute statunitense.
Per lo studio sono state arruolate 263.925 persone tra il 1995 e il 1996 e suddivise a seconda delle proprie abitudini inerenti il consumo di bibite zuccherate, tè, caffè e succhi di frutta. Le stesse persone sono state poi rivalutate tra il 2004 e il 2006, evidenziando un self report di 11.311 casi di depressione a partire dal 2000.
A quel punto l’analisi è stata fatta singolarmente sui diversi gruppi di popolazione e, in particolare, è stata ricercata la differenza di fenomeno depressivo tra chi consumava l’equivalente di quattro lattine o tazze di bevanda al giorno e nessuna (lattina, bicchiere o tazza che fosse).
Chi tra il 1995 e il 1996 consumava bevande zuccherate (comprese le bevande alla frutta), aveva presentato una probabilità di sviluppare patologia depressiva nettamente incrementata rispetto a chi non aveva comunicato tale abitudine alimentare (la buona notizia è che il rischio di incorrere in disturbi depressivi si è invece dimostrato lievemente diminuito in chi assumeva la quantità giornaliera descritta di caffè).
È da considerare attentamente il fatto che le stesse bibite, ma analizzate nella versione light (sulle quali in passato sono state condotte già ricerche dai risultati interessanti, inerenti ad esempio un aumentato rischio cardiovascolare), sono risultate più importanti ancora dell’analogo normalmente zuccherato nel procurare fenomeni di tipo depressivo in chi ne faceva uso.
L’altra osservazione interessante è che la tendenza al fenomeno depressivo sia associata non solo ai soft drink, ma anche alle bevande alla frutta che sono spesso ritenute assolutamente innocue dalle madri di tutto il mondo. Si pone in tale categoria sia il succo di frutta classico (senza distinzione tra succo di sola frutta e succo zuccherato o dolcificato artificialmente) che la bibita al sapore di frutta.
Ciò fa probabilmente sì che il range di associazione implementata con la depressione sia più ampio, con un limite finale più alto e un limite iniziale più basso di quello trovato nei soft drink, con una logica presumibilmente correlata alla presenza relativa di zucchero o dolcificante (probabilmente anche zuccheri della frutta, oltre che aspartame ed altri) nella bevanda.
Le osservazioni obbligano a considerare in una logica più ampia quello che viene venduto come sano solo perché contiene frutta o è “arricchito di vitamine”, “light”, o dovrebbe portare “la felicità in tavola”.
L’attenzione all’etichetta resta importante e uno sguardo alla quantità di zuccheri (o di dolcificanti anche dietetici) presente nel prodotto che si stia scegliendo sul ripiano del supermercato potrebbe fare la differenza nella salute, anche emotiva, propria e dei propri figli.