Crohn e alimentazione: carboidrati e cereali tra i maggiori sospettati
La sempre più profonda conoscenza dell’infiammazione e la comprensione avanzata dei meccanismi che portano a malattie infiammatorie intestinali come il Crohn e la Colite ulcerativa stanno confermando giorno dopo giorno che il rapporto fra malattie intestinali e alimentazione esiste ed è molto stretto.
Si tratta di un’ottima notizia, perché riporta al cibo e al modo in cui ci si nutre le possibilità di guarire, curare o almeno migliorare queste condizioni cliniche.
Per anni infatti le malattie infiammatorie intestinali (IBD) sono state considerate quasi a sé stanti, dovute a cause sconosciute. Negli ultimi anni invece, molti autori iniziano a considerarle come condizioni connesse con la nutrizione e migliorabili attraverso le modifiche dei comportamenti alimentari.
Nel nostro centro, dove da anni trattiamo queste forme attraverso schemi dietetici che riducano l’infiammazione da cibo, ci siamo spesso sentiti un po’ isolati, ma fortunatamente da qualche anno abbiamo il conforto di studi internazionali che hanno ad esempio confermato la reattività al Saccharomyces cerevisiae nella malattia di Crohn oppure la possibilità di modificare il decorso della malattia intestinale studiando le Immunoglobuline G relative agli alimenti e definendo una dieta personalizzata per poterne guarire (Bentz S. et al, Digestion. 2010;81(4):252-64. doi: 10.1159/000264649. Epub 2010 Jan 30).
Noi effettuiamo questa valutazione anche attraverso Recaller e BMT BioMarkers, studiando prima di tutto la componente infiammatoria (BAFF e PAF) e poi il profilo alimentare individuale. In questo modo ogni persona può arrivare a ridurre l’infiammazione e a migliorare il proprio quadro clinico attraverso scelte alimentari consapevoli e soprattutto individualizzate.
Uno studio pubblicato nel 2014 sul Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition, effettuato presso il Children Hospital di Seattle (vicino a quello reso famoso dalla serie “Grey’s Anatomy”), ha valutato le cartelle cliniche dei bambini malati di Crohn che avevano migliorato decisamente la loro situazione clinica in modo non dipendente dai farmaci.
Analizzando i dati di questi bambini si è visto che il miglioramento era iniziato in contemporanea ad una dieta che riducesse o controllasse i cerali e i carboidrati presenti nella dieta dei bambini (Suskind DL et al, J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2014 Jan;58(1):87-91. doi: 10.1097/MPG.0000000000000103).
La ricerca del gruppo di pediatri statunitensi è nata dal fatto che molti bambini affetti da una malattia infiammatoria intestinale hanno dei netti miglioramenti quando vengono nutriti attraverso una esclusiva nutrizione enterale (che non coinvolge quindi i primi processi digestivi) e riduce grandemente gli antigeni alimentari, fornendo in pratica solo aminoacidi di proteine predigerite.
Da qui è nato il sospetto che la riduzione di alcuni antigeni, in particolare quelli legati ai carboidrati, potesse avere un significato nella storia della malattia.
In realtà il vero problema non è decidere se la responsabilità sia da ascrivere al glutine, al mais, alla quinoa, al farro o al riso, ma di capire che il controllo nella dieta di alcuni cereali o di prodotti fermentati (legati alla reazione ai lieviti) che possono essere causa di una reattività individuale, o addirittura una dieta FODMAP, possono essere una delle possibili soluzioni del problema legato alle malattie infiammatorie intestinali.
Si tratterebbe cioè di stimolare la riduzione degli antigeni alimentari presenti nella dieta per riportare in equilibrio una malattia infiammatoria e immunologica.
Sul nostro sito abbiamo discusso più volte di quanto ad esempio il pane, i cracker, i grissini e i biscotti, legati dalla comune presenza di sostanze fermentate, siano tra i possibili responsabili della reazione infiammatoria intestinale. Sappiamo poi con certezza che anche la reattività al glutine può portare a questo tipo di problemi.
In SMA seguiamo da anni persone con questi problemi intestinali attraverso specifici percorsi terapeutici e di frequente troviamo molteplici reattività a singoli cereali o alle loro varie combinazioni, oltre che reazioni ai lieviti, come già segnalato.
Questo è in accordo con i lavori già citati di Bentz, con quelli di Ligaarden (con i relativi commenti) e con l’esperienza clinica legata al trattamento delle forme di colite.
Ognuno ha condizioni di risposta individuale, anche se statisticamente, i mitteleuropei hanno maggiore reattività nei confronti di frumento, glutine e lieviti.
Ci si domanda allora perché in condizioni come il Crohn o la Colite Ulcerativa, dove anche lavori scientifici molto precisi propongono una giustificazione alimentare, l’attenzione alla parte dietetica sia spesso misconosciuta e non considerata dai medici che la trattano, lasciando in una condizione di attonito stupore i pazienti che per primi richiedono cosa poter mangiare per migliorare il loro quadro.
Sappiamo che molte forme di colite o di infiammazione intestinale possono essere migliorate e spesso guarite sia controllando l’infiammazione indotta dal cibo, sia grazie all’uso di probiotici specifici e alla giusta e attenta miscelazione dei cibi di cui ci si nutre.
L’uso di enzimi adeguati è un altro degli strumenti che consentono di controllare l’attivazione delle malattie autoimmuni in genere e delle malattie infiammatorie intestinali in particolare.
Ancora una volta quindi, si conferma che per guarire o aiutare il decorso di molte malattie vanno considerati gli aspetti di individualità, per capire in ogni singolo soggetto quali possano essere gli strumenti nutrizionali o di integrazione adeguati a migliorare la propria sintomatologia, per diventare fautore e attore della propria guarigione.