Celiachia: guarire è possibile, e non solo con la dieta
L’immunologia e l’allergologia sono in una fase di forte evoluzione e molte conoscenze che si credevano consolidate negli anni passati, sono invece sottoposte a critica mentre si aprono nuove possibilità di interpretazione e di terapia.
La celiachia è una delle forme per cui stanno cambiando molte cose. Infatti gli studi recenti sulla tolleranza immunologica, e soprattutto la definizione da parte di Sampson di celiachia come allergia mista, in cui è presente una componente dovuta ad allergia immediata, indipendente dalla quantità di sostanza (anche poco glutine può dare fastidio), e una parte dipendente invece dalla ripetizione della assunzione di glutine per più giorni consecutivi, ci obbliga a considerare questa patologia come l’espressione di una reazione immunologica che può viaggiare a due velocità diverse.
In relazione alla dominanza di una parte o dell’altra, sarà quindi possibile utilizzare o meno il glutine (quindi frumento, kamut, farro, orzo ecc.) nella propria alimentazione o non usarlo del tutto. Il dibattito su questi temi si sta facendo conflittuale, come documentano alcuni contrasti emersi sul web in relazione a queste notizie.
Nella nostra esperienza clinica infatti continuiamo ad affrontare almeno tre situazioni diverse, ognuna delle quali ha una sua precisa frequenza e una sua ben definita modalità di comparsa:
1) La forma di celiachia classica, importante, grave, ad esordio acuto nell’infanzia, ben riconoscibile e che deve essere trattata con la eliminazione del glutine per tutta la vita. In questo caso, almeno fino ad oggi, non si possono inventare soluzioni alternative.
2) Una forma transitoria di celiachia, che si sviluppa soprattutto in soggetti con predisposizione allergica, che mangiano frumento e glutine in modo quasi esclusivo senza concedersi alcuna varietà alimentare. Queste forme esordiscono in genere in modo più subdolo, e lo studio delle ipersensibilità alimentari porta ad una importante possibilità di controllo. Nella nostra esperienza, queste persone riescono spesso a riprendere, sotto stretto controllo medico, l’uso della farina e del glutine in un solo giorno della settimana (talvolta si riesce ad arrivare a 2-3 giorni di libertà nella settimana), ma applicando un rigoroso controllo dietetico negli altri. Lavori di Patriarca e Gasbarrini recenti hanno testimoniato la possibilità di riportare anche celiaci gravi ad una alimentazione normale.
3) Una forma di celiachia iniziale, soprattutto dell’adulto, che si presenta quasi sempre in persone che fanno dal punto di vista alimentare un uso e un abuso sistematico del glutine, e che sono in realtà delle forme in cui va riprecisata la diagnosi con una adeguata valutazione medica e allergologica. Talvolta si tratta di fenomeni in cui un breve periodo di dieta riesce a ripristinare l’equilibrio. Sovente si tratta di persone che non hanno alcuno stimolo generale al recupero di tolleranza immunologica, che non mangiano frutta e verdura e variano pochissimo la loro alimentazione.
Spesso accade che i soggetti delle due ultime categorie arrivino ad una diagnosi di celiachia quando le condizioni di salute sono ottime, solo perché alcuni esami sono risultati “mossi”, e la biopsia intestinale, lungi dall’essere fortemente alterata risulta semplicemente “compatibile” con una forma di ipersensibilità al glutine senza esserne indicativa in modo assoluto. In questi casi si hanno delle possibilità di remissione molto elevate.
La gestione della celiachia non deve mai portare però a generare false speranze. In tutti i casi che trattiamo partiamo dal concetto che si vuole capire se l’organismo ha davvero esaurito la possibilità di recupero autonomo o no, ma dando sempre per scontato che la persona con una diagnosi di celiachia rientra nella categoria 1) segnalata sopra, fino a prova certa del contrario.
Sarebbe infatti troppo duro vagheggiare la possibilità di una ripresa di una nutrizione più varia a persone che in realtà poi devono riprendere una alimentazione del tutto priva di glutine sempre. In genere però questo aspetto di “prova” è rifiutato dai gastroenterologi tradizionali, che si fermano alla diagnosi e alle terapie classicamente utilizzate, senza porsi il problema di un possibile disordine immunologico riparabile alla base della stessa.
La costante e continua verifica sul campo dei possibili cambiamenti immunologici presenti in persone ritenute celiache ci sprona a proseguire in questa direzione di rispetto dell’uomo e non di paura della malattia.