A fianco della cronaca: preoccupazioni varie e riflessioni serie…
Da molti anni mi occupo di reazione avverse agli alimenti. L’immunologia moderna discute in termini evoluzionistici l’infiammazione da cibo e la capacità di guarirne che ogni organismo ha in sé, mentre l’allergologia e la gastroenterologia sono in un certo senso rimaste “al palo” continuando a proseguire su schemi antichi di trattamento e soprattutto di diagnosi.
Molti esami oggi sono effettuati alla fine per il solo “piacere” della diagnosi. L’esperienza clinica mi ha insegnato che chi si lamenta di un disturbo indotto da un alimento, qui in Italia innanzitutto non viene creduto (lo si capisce dal tipo di domande fatte, che solo pochi medici approfondiscono) e in seguito considerato mediamente un possibile isterico.
La maggior parte degli allergologi, a dispetto di lavori scientifici ripetuti che li documentano, si rifiuta di pensare che esistano dei meccanismi cellulari e infiammatori che determinano un disagio e mantengono da decenni le loro linee di ricerca dignostica con scarse evoluzioni. La medicina è malata di diagnosi, ma la diagnosi talvolta può rivelarsi pericolosa e inutile.
Ha senso far bere un beverone di lattosio ad una persona che si lamenta di diarrea ogni volta che beve latte? Serve confermare per scritto alla persona che ha un “Breath test” positivo, quando la clinica già ci conferma la realtà dei fatti? (senza contare quelli che scoprono un Breath test positivo senza avere alcun sintomo specifico..).
Alcune diagnosi per l’assorbimento alimentare richiedono l’uso del sorbitolo quando in italia è difficilissimo avere il semplice e poco costoso esame chimico fisico delle feci che in modo non invasivo può dare analoghe indicazioni.
Lo stesso vale per la ricerca dell’Helicobacter Pylori, un battero spesso presente nell’intestino anche delle persone sanissime, ma la cui scoperta durante una gastroscopia permette la prescrizione della famosa e lunga “triplice terapia” fatta da Inibitori di Pompa Protonica (protettori gastrici), antibiotici e antibiotici antifungini.
Tante volte cerco qualche indicazione specifica nella biopsia che viene fatta durante le ormai innumerevoli gastroscopie richieste quasi ai primi segnali di disturbi digestivi, e queste invece, anziché descrivere esattamente che cosa sta succedendo nella mucosa di quell’organo (dando la possibilità a me come ad ogni medico di elaborare una strategia terapeutica) si limitano semplicemente a dire che l’Helicobacter Pylori (amichevolmente chiamato HP) è presente o no, come se l’unico fine della gastroscopia fosse quello di somministrare “la triplice”. Non parlo purtroppo di casi isolati, ma di prassi fin troppo consolidate.
Anche a me capita talvolta di chiedere diagnosi invasive ai miei pazienti, dopo avere provato però a valutare clinicamente e con test differenti, che non possono rappresentare un pericolo, lo stato infiammatorio e nutrizionale della persona.
Non sappiamo ancora cosa sia capitato alla paziente di Barletta morta durante l’esecuzione di un test ancora non precisato correlato con la prassi gastroenterologica classica. Esprimiamo il nostro cordoglio per questo evento luttuoso e grave ricordando che gli atti medici invasivi hanno in ogni caso un certo livello di rischio che deve essere valutato e discusso sempre con il paziente. In questo caso inoltre si sospetta che la sostanza utilizzata per la diagnosi contenesse delle parti responsabili di intossicazione o delle componenti non usuali.
Restiamo quindi in attesa di notizie più certe segnalando però che esiste una condizione molto ben descritta in medicina e perfettamente documentata, relativa all’utilizzo proprio dei cosiddetti “Protettori Gastrici” farmaci prescritti con notevole frequenza in ambito gastroenterologico e che potrebbero aprire nuove strade di riflessione anche per gli inquirenti.
Questi farmaci hanno un nome che suonerebbe amichevole, mentre possono nascondere insidie allergologiche importanti. Fin dal 2003 il gruppo dell’Università di Vienna (con la professoressa Jensen-Jarolim) ha descritto in chi prende questi non sempre “innocui” prodotti la crescita di possibili reazioni anafilattiche improvvise, anche mortali, a sostanze o cibi che entrano in contatto per la prima volta con lo stomaco; negli anni successivi queste ricerche sono state confermate e ulteriormente avvalorate.
Forse il problema non è neanche da legare al prodotto che si dice di provenienza non certa (alcuni parlano di un sorbitolo contaminato, che sembra avere provocato una sorta di avvelenamento, ma sappiamo con certezza la vera origine di tutto ciò che usiamo per ospedali, aerei e alimenti?). Il contatto gastrico o intestinale con sostanze inusuali, in caso di assunzione di farmaci come potrebbero essere i semplici protettori gastrici cui ormai nessuno fa più caso, potrebbe pure avere determinato delle particolari interferenze nel normale funzionamento organico.
Inoltre bisogna ricordarsi che le reazioni allergologiche stanno crescendo nella popolazione media e a dispetto della scarsa accettazione da parte di molta parte della classe medica dell’importanza del cibo nel causare una crescente infiammazione, la tendenza a sviluppare allergie e intolleranze (anche gravi) aumenta anche solo per il fatto che sta crescendo il livello di inquinamento ambientale.
Di sicuro, titoli come quelli sparati oggi dal Corriere del Mezzogiorno (“Paziente morta dopo test per le intolleranze alimentari“) sono un classico esempio di pessimo giornalismo. Apprezziamo il titolo di Repubblica.it, che fatta una verifica delle fonti ha titolato “Una donna muore dopo esame clinico privato” sicuramente meno preoccupante per una popolazione di allergici e intolleranti che sta crescendo e che è realmente in cerca di soluzioni cliniche garantite offerte nel rispetto dei propri bisogni (troppo spesso irrisi) e della sicurezza delle metodiche impiegate.