Le reazioni alimentari esistono e si vedono anche al microscopio
L’alimentazione è uno dei fondamenti per il controllo dell’infiammazione.
L’infiammazione da cibo è una realtà concreta che supera i vecchi e poco scientifici concetti delle intolleranze alimentari.
Sintomi e malattie frequentissime come colite, sindrome del colon irritabile, meteorismo, malassorbimento intestinale, sensibilità al glutine e disbiosi sono legati a questi processi infiammatori e le loro cause si possono oggi comprendere in modo rigoroso e scientifico.
Un gruppo di endoscopisti tedeschi ha usato delle particolari tecniche di visualizzazione durante le gastroscopie effettuate a soggetti con IBS (sindrome del colon irritabile) per verificare cosa succede sulla mucosa duodenale dopo l’introduzione di un cibo che scatena questi sintomi, verificando l’esistenza oggettiva della reazione irritativa e infiammatoria sistemica provocata dal cibo.
Spesso, ascoltando trasmissioni televisive “di successo” o leggendo riviste e giornali di diffusione si ascoltano o si leggono almeno due versioni del problema, in palese contraddizione.
Da un lato ci sono medici e accademici che negano quasi l’esistenza di fenomeni infiammatori legati al cibo e dall’altra persone che si affidano a fantomatiche “intolleranze” diagnosticate con pendolini e tarocchi o con strumenti non comunicabili al mondo scientifico.
Questo distacco dalla realtà, valido per tutte e due le ipotesi, ha impedito per anni lo sviluppo di una scienza dell’alimentazione basata sulle risposte individuali.
Sappiamo che le uniche due intolleranze alimentari riconosciute dalla scienza sono la “intolleranza al lattosio” (che è una incapacità biochimica a digerire uno zucchero, e non c’entra nulla con una possibile reattività alle proteine del latte) e la intolleranza al glutine di tipo celiaco (causa della stessa celiachia).
Il termine “intolleranza alimentare” che per anni è stato usato nei modi più scorretti, è un termine che dovrebbe essere bandito, per evitare confusione e incomprensione e soprattutto uno scorretto approccio alla terapia di queste condizioni che è invece del tutto possibile.
Sappiamo invece che esiste una reattività al cibo di tipo infiammatorio, sospettata da tempo, ma documentata da Lied, che nel 2010 ha identificato il BAFF come una delle citochine infiammatorie, e che si elevano dopo l’ingestione di un cibo che determini sintomi irritativi non allergici.
Sulla scia di questi lavori, il nostro gruppo ha precisato, anche in ambito internazionale, il valore di BAFF e di PAF nella identificazione di una risposta non allergica agli alimenti, arrivando a leggere attraverso il dosaggio delle IgG specifiche per gli alimenti il profilo alimentare di ogni persona, che non rappresenta la produzione di anticorpi contro il cibo, ma l’eccesso di introduzione di alcuni alimenti o di alcuni grandi gruppi alimentari.
Un segnale di “troppo pieno” che può generare infiammazione sistemica se non viene riportato a livelli di equilibrio.
Durante gli ultimi mesi abbiamo discusso questi temi con numerosi centri medici e istituzioni accademiche e ci siamo resi conto che la stringente documentazione scientifica sui meccanismi immunologici che spiegano l’infiammazione correlata al cibo vengono accettati e diventano la base per un processo di evoluzione scientifica ulteriore.
A infrangere poi lo scetticismo di chiunque sul fatto che il cibo, su base individuale, possa generare sintomi specifici e portare a particolari malattie, è arrivata anche la pubblicazione della ricerca effettuata da un gruppo di endoscopisti tedeschi, inglesi e statunitensi, pubblicata su Gastroenterology, che ha evidenziato le variazioni microscopiche della mucosa a seguito dello stimolo diretto dell’alimento a livello duodenale (Fritscher-Ravens A et al, Gastroenterology. 2014 Nov;147(5):1012-20.e4. doi: 10.1053/j.gastro.2014.07.046. Epub 2014 Jul 30).
Ricordiamo che si trattava di pazienti con sintomi legati al colon e che le prove sono state effettuate stimolando con antigeni alimentari diluiti la mucosa duodenale, evidenziando quindi una reattività ben oltre che locale.
I ricercatori hanno usato una particolare tecnica di microscopia confocale laser (CLE – Confocal Laser Endomicroscopy) che consente di valutare e visualizzare in tempo reale le variazioni funzionali della mucosa dopo lo stimolo alimentare.
Durante la endoscopia sono stati spruzzati sulla parete duodenale degli alimenti diluiti, limitandosi, in questo studio preliminare a soli 4 cibi: latte, frumento, lievito e soia.
Ben 22 dei 36 pazienti che dicevano di avere la IBS a causa di un cibo sono risultati fortemente positivi alla stimolazione duodenale e nel corso dei soli 5 minuti successivi alla stimolazione si sono evidenziati:
- Aumento dei linfociti intraepiteliali (LIE – una delle caratteristiche che si cerca anche per la diagnosi di celiachia)
- Allargamento degli spazi intervillosi
- Aumento della porosità intestinale
La concordanza tra la valutazione laser in loco e l’istologia convenzionale si è rivelata maggiore del 70% e pur pensando ad una incompletezza diagnostica (sono stati testati solo 4 gruppi alimentari) la riduzione dei sintomi dopo un mese di dieta arrivava al 50% e dopo un anno al 74%.
Il racconto emozionato degli autori (apprezzabile nell’articolo originale) è proprio quella di avere valutato nell’immediatezza una reazione che ha coinvolto la mucosa duodenale in modo immediato e potente. Nel volgere di 5 minuti l’intera sequenza era già passata sotto l’avido occhio della telecamera laser consentendo riflessioni immediate sulla rilevanza della azione di un poco di cibo diluito sulle pareti intestinali.
Una volta un detto affermava “Quel che non strozza ingrassa”, mentre oggi sappiamo che i processi infiammatori instaurati dagli alimenti possono attivare processi biochimici e metabolici o infiammatori che per troppo tempo la scienza ha rifiutato di valutare.
Oggi esistono gli strumenti tecnici e scientifici per farlo in modo corretto e comunicarlo a tutti.
Quindi esiste una ulteriore dimostrazione degli effetti infiammatori del cibo sull’organismo; una dimostrazione adatta anche alle menti più scettiche, alle persone che devono “toccare con mano”.
Il fenomeno infiammatorio è misurabile e la sua conoscenza consente potenzialità terapeutiche insperate come quelle per il trattamento della malattie autoimmuni, dell’artrite, dell’obesità e del diabete e di tante altre malattie.
Il lavoro pubblicato su Cell nei mesi scorsi, di cui Eurosalus ha discusso nell’articolo “Una persona, una dieta“, ha stabilito che ogni dieta deve fare i conti con l’individualità di risposta e con l’infiammazione alimentare.
Solo grazie a questo tipo di atteggiamento si potrà contribuire alla risoluzione delle patologie croniche più diffuse.