Essere sani anche se un po’ paffuti: forse una sola misura non è tutto
Da molti anni il valore della circonferenza addominale è diventato un indice di rischio cardiovascolare generalmente affidabile.
In Italia, una circonferenza “vita” fino a 80 cm per le donne e fino a 94 per gli uomini caratterizza un rischio cardiovascolare ridotto. Fino a 88 (donne) e 102 cm (uomini) il rischio è lievemente elevato e al di sopra si considera che il rischio cardiovascolare sia invece molto maggiore del normale.
In palese controtendenza rispetto alle indicazioni legate alla misura della circonferenza della vita, uno studio iraniano, pubblicato nel 2016 su Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases, ha suggerito che le persone che hanno una circonferenza addominale più elevata di quella considerata “a basso rischio”, ma non presentano neanche una delle condizioni legate alla sindrome metabolica, hanno lo stesso rischio di mortalità cardiovascolare delle persone con pancia piatta e magra (Doustmohamadian S, et al. Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2016;doi:10.1016/j.numecd.2016.11.123).
La sindrome metabolica è definita (OMS) dalla presenza di una glicemia a digiuno superiore ai 110 mg/dl cui si sommino almeno due altre alterazioni tra ipertensione arteriosa (maggiore di 160/90), aumento dei trigliceridi (maggiori di 150 mg/dl), basso colesterolo “buono” HDL (minore di 35 per gli uomini e di 39 per le donne), eventuale presenza di albuminuria e appunto una aumentata obesità addominale.
Lo studio iraniano, frutto di una ricerca durata oltre 12 anni (il Tehran Lipid and Glucose Study), ha indicato che le persone dello studio che presentavano una circonferenza addominale maggiore della norma (in Iran le misure sono 89 cm per gli uomini e 91 cm per le donne), ma non avevano nessuna delle altre condizioni della sindrome metabolica, presentavano lo stesso rischio di mortalità cardiovascolare dei magri con la pancia piatta.
Questo ultimo dato va in contrasto con una precedente considerazione pubblicata su Atheroscleosis nel 2014 dagli stessi autori, in cui ancora non si evidenziava questo aspetto (Kelhani S et al, Atherosclerosis. 2015 Feb;238(2):256-63. doi: 10.1016/j.atherosclerosis.2014.12.008. Epub 2014 Dec 9) e in parte corregge le conclusioni di allora.
Gli autori sono i primi a segnalare che il lavoro complessivo, carente su alcuni specifici aspetti di impostazione metodologica, propone delle indicazioni senza potere definire delle assolute certezze, ma rimane comunque un suggerimento importante per iniziare a considerare un criterio di individualità che non dipende da una singola misurazione.
Su Eurosalus abbiamo già segnalato alcuni lavori che portavano alle stesse conclusioni fin dal 2013, confermando quindi che il piano dietetico di una persona (o il suo destino) non possono essere definiti solo da una singola misurazione, ma che questa deve essere inserita in una visone generale che consideri ad esempio anche la massa grassa e le sue variazioni, o il livello di infiammazione, per capire quale sia il vero rischio metabolico.
Però sembra confermarsi che “un po’ di ciccia” non faccia male a nessuno, se è accompagnata da un atteggiamento metabolico sano. È una buona notizia, che rasserena gli animi e cancella alcuni spauracchi potenti che hanno condizionato gli ultimi anni.
Una persona sana, attiva fisicamente (che cioè faccia sport), pur con un po’ di grasso aumentato addosso, attento alla prevenzione, che mangi in modo equilibrato, senza sviluppare infiammazione e resistenza insulinica, sembra avere un rischio di mortalità del tutto paragonabile a quello di chi è perfettamente in forma.
E magari si gode simpaticamente qualche cena in più con gli amici.
Questo è vero fino a che non compaiano i segni (anche solo uno) della sindrome metabolica, legata a contemporaneo aumento della glicemia, alla comparsa di ipertensione arteriosa, all’aumento dei trigliceridi e alla bassa presenza di colesterolo buono. Nei nostri percorsi terapeutici seguiamo le persone con problemi di sovrappeso tenendo in considerazione tutti questi aspetti, e nel caso in cui si alteri anche il metabolismo, è d’obbligo riportare rapidamente in equilibrio l’organismo.
L’analisi sociologica di questa nuova interpretazione porta a considerare che un livello di disponibilità economiche maggiori consente di avere una maggiore quantità di cibo a disposizione (e quindi di “mettere su un po’ di pancia”) avendo dall’altra parte un aumentato livello di attenzione alla prevenzione e una migliore disponibilità di integratori o di farmaci che possono salvaguardare la salute.
L’insieme di questi due fattori probabilmente riduce il rischio cardiovascolare.
Con un limite preciso: che questa maggiore leggerezza dell’animo non si trasformi in abolizione assoluta di controllo o in eccesso alimentare libero.
La consapevolezza e il rispetto di se stessi sono tra i beni più importanti da difendere per conservare la salute e il benessere.