Mangiare “gluten free” fa davvero così bene?

13 Aprile 2021
Mangiare “gluten free” fa davvero così bene?

Tra i diversi pazienti che giornalmente incontro mi capita spesso di incontrare persone che hanno deciso di escludere dalla propria dieta intere categorie di alimenti nella speranza di un possibile beneficio.

Il più delle volte, l’eliminazione in autonomia di alimenti che vengono percepiti come causa di disturbo, ad esempio l’eliminazione del glutine in soggetti senza evidenti patologie legate al glutine, è una pratica che può rivelarsi controproducente: restringendo il campo alimentare si facilita l’emergere dell’infiammazione legata alla ripetizione quotidiana dello stesso stimolo alimentare.

Supponiamo ad esempio che si eliminino pane e pasta (glutine) sostituendoli esclusivamente con gallette di riso a colazione, riso rosso a pranzo, cracker di riso a cena.

Cosa può succedere all’organismo quando si consuma riso a colazione, pranzo e cena per svariate settimane? Con buone probabilità si andrà incontro ad un sovraccarico da riso, con conseguente attivazione di una risposta infiammatoria anche nei confronti di questo alimento, restringendo ulteriormente l’utilizzo di cereali a nostra disposizione.

Ai nostri pazienti siamo soliti ripetere che “non esiste un cibo contro”, non esistono evidenze scientifiche che supportino i benefici di una dieta senza glutine in chi non ha patologie accertate, per le quali la totale eliminazione del glutine rimane attualmente l’unica opzione. E ricordiamo che la malattia celiaca è una patologia autoimmune che colpisce solo lo 0,5-1% della popolazione.

Mangiare senza glutine, comperando prodotti industriali già pronti, può favorire l'emergere di nuove infiammazioni alimentari. Mangiare senza glutine continua a rimanere una cattiva moda.

Al contrario, come succede ai numerosi pazienti che seguiamo, il consumo eccessivo di alimenti con il glutine determina risposte infiammatorie per cui l’esclusione del glutine nel breve periodo può far apprezzare qualche apparente miglioramento. 

Questa è la ragione alla base di alcuni temporanei benefici percepiti quando si seguono diete senza alcun fondamento scientifico che prevedono l’eliminazione di intere categorie di alimenti maggiormente presenti nell’alimentazione italo-europea, come frumento e glutine

In molti casi di sensibilità al glutine non celiaca, lo studio dell’infiammazione alimentare e delle comorbidità (altre reazioni alimentari, ad esempio, elevati livelli di BAFF, consumo individualmente eccessivo di zuccheri, polioli e alcol etc.) è uno strumento che consente di recuperare un rapporto fisiologico con il glutine. Come procedere quindi?

In alcuni casi, l’eliminazione del glutine non è reale perché alcune persone pensano di aver eliminato il glutine, ma hanno semplicemente sostituito la pasta di grano duro con la pasta di Kamut o di Senatore Cappelli, oppure con dell’orzo in chicchi o continuano a consumare saltuariamente i biscotti con il glutine o lo yogurt al malto.

In questi casi, poiché le caratteristiche immunologiche di questi cereali (farro, kamut, orzo, segale, grano duro, grani antichi, semola, bulgur) sono simili a quelle del grano, non è necessaria una vera reintroduzione, perché in realtà il contatto con questi alimenti nell’organismo è già presente.

Al contrario, in chi ha eliminato l’intera categoria di alimenti la reintroduzione graduale del glutine deve avvenire seguendo un percorso specifico, in affiancamento a medico e nutrizionista. 

È d’aiuto, in questi casi, l’esecuzione del test PerMè, che permette di avviare un approccio dietetico personalizzato per controllare l’infiammazione da zuccheri e da alimenti. Una volta iniziato questo protocollo, che riduce molti aspetti infiammatori, si può iniziare con micro-quantità o contaminazioni di glutine.

Dopo qualche settimana di corretta rotazione alimentare, si consiglia di cominciare con qualche “contaminazione” di glutine, ad esempio cucinando un fusillo di grano duro all’interno di un piatto di cereali senza glutine o legumi 2-3 volte a settimana in giorni ben distanziati. Per le prime volte, a cottura ultimata si butterà via il fusillo e si consumeranno solo i cereali senza glutine o i legumi.

Se la progressione procede senza particolari problemi si può anche cominciare ad assaggiare il fusillo e volta per volta aumentare gradualmente la quantità di fusilli che si mangiano fino ad arrivare nel giro di 2-3 mesi all’introduzione di una porzione modesta di pasta. Questa progressione è ben nota alle mamme che si stanno approcciando allo svezzamento dei propri figli. La metodica ben descritta al capitolo 6 del libro “Le intolleranze alimentari non esistono” del dottor Attilio Speciani (LSWR Edizioni).

Per alcune persone, soprattutto quando si trovano nella condizione in cui hanno magari tolto senza necessità il glutine per un periodo prolungato, può essere di estrema utilità un supporto alla graduale reintroduzione attraverso l’utilizzo di enzimi specifici per il glutine. 

Molti prodotti appartenenti alla categoria gluten free contengono differenze rilevanti in termini di caratteristiche nutrizionali rispetto alla controparte convenzionale.

Molto spesso i prodotti gluten free sono ultraraffinati, contengono più grassi, più zuccheri e meno fibra. Inoltre in molti prodotti da forno gluten free i grassi in eccesso sono spesso grassi cotti che modificano le loro proprietà nutrizionali diventando certamente “meno sani”. 

È importante invece mantenere l’alimentazione il più possibile varia. Conoscere quali siano i cereali senza glutine e renderli parte della nostra alimentazione è essenziale per aggiungere varietà. Impariamo quindi a cucinare anche la quinoa, il sorgo, il teff, il miglio, l’amaranto, il grano saraceno e ovviamente il riso (in tutte le possibili forme integrali e colorazioni) e a inserirli nel nostro piano settimanale.

Nel Centro SMA di Milano ci occupiamo da anni di fornire un supporto specifico e mirato a chi da anni ha eliminato intere categorie di alimenti e desidera recuperare un rapporto con il cibo sano e consapevole