La diagnosi di celiachia è sempre definitiva?
Concordiamo pienamente sul fatto che di fronte ad una diagnosi di celiachia ci siano da fare oggi una ampia serie di considerazioni, perché in molti casi si arriva a parlare di questo disturbo quando le condizioni di salute sono ottime, solo perché alcuni esami sono risultati “mossi”, e il problema della diagnosi va invece affrontato secondo questo tipo di criterio logico:
1) Esiste una forma di celiachia importante, grave, ad eseordio acuto nell’infanzia, ben riconoscibile e che deve essere trattata con la eliminazione del glutine per tutta la vita. In questo caso non si possono inventare soluzioni alternative.
2) Esistono forme transitorie di celiachia, che si sviluppano soprattutto in soggetti con predidposizione allergica, che mangiano frumento e glutine in modo quasi esclusivo senza concedersi alcuna varietà alimentare. Queste forme esordiscono in genere in modo più subdolo, e lo studio delle intolleranze alimentari porta ad una importante possibilità di controllo. Riguardo a questo tipo di esordio, esistono dati scientifici molto rilevanti, e altri continuano ad aggiungersene proprio perché si sta espandendo la diagnosi di questa malattia, e il modo definitivo con cui la si è sempre finora trattata non sempre è l’unico possibile. Nella nostra esperienza, queste persone riescono spesso a a riprendere, sotto stretto controllo medico, l’uso della farina e del glutine in un solo giorno della settimana (talvolta si riesce ad arrivare a 2-3 giorni di libertà nella settimana) ma applicando un rigoroso controllo dietetico negli altri. Lavori di Patriarca e Gasbarrini recenti hanno testimoniato la possibilità di riportare anche celiaci gravi ad una alimentazione normale.
3) Esistono forme di diagnosi della celiachia oggi che sono solo legate all’abuso sistematico del glutine, e che sono in realtà delle forme in cui va riprecisata la diagnosi con una adeguata valutazione medica e allergologica. Talvolta si tratta di fenomeni in cui un breve periodo di dieta riesce a ripristinare l’equilibrio; in genere queste forme sono relative soprattutto all’esordio in età adulta.
Un dato che vale per tutti, è che non ci si deve mai ancorare a false speranze. In tutti i casi che trattiamo partiamo dal concetto che si vuole capire se l’organismo ha davvero esaurito la possibilità di recupero autonomo o no, ma dando sempre per scontato che la persona con una diagnosi di celiachia rientra nella categoria 1) segnalata sopra, fino a prova certa del contrario.
È infatti troppo duro vagheggiare la possibilità di una ripresa di una nutrizione più varia a persone che in realtà poi devono riprendere una alimentazione del tutto priva di glutine sempre. In genere però questo aspetto di “prova” è rifiutato dai gastroenterologi tradizionali, che si fermano alla diagnosi e alle terapie classicamente utilizzate, senza porsi il problema di un possibile disordine immunologico riparabile alla base della stessa.
La nostra prassi è di fare, nei casi che potrebbero dalla storia clinica inquadrarsi nelle categorie 2) e 3), delle valutazioni e delle prove di carico, sempre nei limiti del non creare danno, e ci si muove in questa direzione.
La valutazione attenta delle lievi oscillazioni degli anticorpi (AGA, AGG, EMA, TGA) e l’andamento della crescita ponderostaturale del bambino, e dei segni clinici nell’adulto, ci consente talvolta di arrivare a precisare il problema.
È ovvio che questo tipo di procedura deve essere fatto sotto stretto controllo medico, chiarendo con precisione con il medico che la guida i limiti, le possibilità e i rischi connessi a questa pratica.