Spuntini e rotolini: la verità sui pasti vicini e piccini
Un’amica, qualche giorno fa, si domandava scherzosamente cosa mangino le modelle di intimo.
Pensieri come questo attraversano spesso le menti dei disperati esseri umani che si affannano nel tentativo di rendersi presentabili per la prova costume.
Le guide spirituali ci ricordano che la nostra apparenza ha poco conto su tutto ciò che d’incredibile siamo. Sentirsi in armonia con la parte fisica resta un passaggio importante per cui vengono in aiuto le indicazioni che seguono, che sono perfette per il nutrimento di corpo, spirito, e pure anima.
Veniamo dunque a una di quelle diatribe che fa litigare nutrizionisti di ogni epoca: di pasti, è meglio farne pochi o tanti?
Il motivo per cui taluni predicano i tanti pasti è che mangiare più spesso è considerato meno faticoso quando si stia mangiando molto poco, con un senso di fame tendenzialmente un po’ più controllato.
L’idea è di solito che i cinque pasti suggeriti in questi casi siano più piccoli e facciano arrivare a fine giornata con un bagaglio calorico più basso della norma.
Poiché non sono le sole calorie (poche o tante) a fare la salute (o il benessere o il passaggio della prova costume), il metodo risulta limitativo.
Si pensi per esempio alla prima colazione. Una prima colazione fatta bene aumenta i consumi complessivi dell’intera giornata: indipendentemente dalle calorie assunte, con una buon primo pasto presente, a fine giornata se ne saranno bruciate di più.
Per altro, chi mangia di più a prima colazione tende ad assumere meno calorie durante tutta la giornata.
È ormai arcinoto che la stessa “energia” assunta in diversi momenti del giorno, come la mattina e la sera, produce effetti totalmente diversi.
Hai capito bene: puoi smettere di contare le calorie di oggi (e anche degli altri giorni), subito.
Gli effetti metabolici che vanno oltre il consumo della singola caloria non si esauriscono qui ed ecco a seguire quelli che rendono i pochi (e buoni) pasti più interessanti dei tanti più piccoli.
Dal punto di vista ormonale ogni cosa che mangiamo è trasformata in molecole più piccole dal tratto gastroenterico e portata in circolo nel sangue dove provoca un innalzamento dell’insulina.
L’insulina è l’ormone anabolico per eccellenza. “Anabolico” vuol dire che essa dà alle cellule il segnale necessario a creare scorte: il fegato costruisce glicogeno, il muscolo monta proteine, e gli adipociti accumulano grasso.
Ora, quando diamine si usano le scorte che abbiamo accumulato? La risposta è “nel periodo tra un pasto e l’altro, quando si permette all’organismo di farlo”.
Quando piano piano la glicemia si riduce, fisiologicamente, con l’allontanamento dal pasto, per mantenerla alle concentrazioni fisiologiche il pancreas secerne un altro ormone chiamato glucagone.
Esso dà il segnale opposto a quello dell’insulina: prendere il materiale accumulato per produrre e mettere in circolo lo zucchero che manca, rendendolo disponibile per le cellule che di scorte non ne hanno.
Far passare un po’ più di tempo tra un pasto e quello dopo permette che il glucagone sia attivato e le scorte mobilizzate, invece che continuare ad accumularsi.
Questo stesso periodo di fisiologica glicemia un po’ più bassa si è dimostrato stimolare le cellule cerebrali (che di solito funzionano quasi solo col glucosio) all’uso di molecole di scarto e differenti per lo svolgimento delle proprie attività vitali.
Le cellule cerebrali non esposte a ipoglicemia prolungata non sviluppano questa capacità di funzionalità alternativa e restano in grado di funzionare senza glucosio solo in minima quantità.
La possibilità di usare molecole come il piruvato (residuo dell’utilizzo molecolare di glucosio) per produrre energia è particolarmente utile in momenti delicati e può per esempio regalare al cervello importanti momenti di autonomia in caso di ischemia, quando il glucosio alle cellule cerebrali non arriva più.
Inoltre, è oggi evidente che brevi periodi di digiuno riducano infiammazione e insulino-resistenza con risultati importanti in termini di salute, benessere e pure di riduzione della massa grassa.
Ridurre l’infiammazione generalizzata significa togliere all’organismo distrazioni inutili permettendogli di funzionare meglio e concentrare le proprie energie dove serve.
È un po’ come quando per la risoluzione di un calcolo complesso si apprezza l’assenza dell’allarme dei vicini che suona nelle orecchie.
Ridurre l’insulino-resistenza, d’altra parte, significa non solo stimolare il dimagrimento, ma anche agire in senso protettivo nei confronti di malattia cardiovascolare, cancro, depressione (o Parkinson, Alzheimer e malattie cronico degenerative).
Insomma, pochi pasti, ben distanziati (se per una prima azione del glucagone le 5 ore tipiche di digiuno sono già significative, per le altre azioni tempi un po’ più lunghi possono essere utili) e ben distribuiti (ricordiamo l’importanza del primo pasto della giornata) sembrano essere in grado di migliorare salute, forma fisica e senso di benessere.
Un ruolo importante è comunque da attribuire a cosa si mangia all’interno dei tanti o pochi pasti che siano. Una dieta composta per lo più da merendine, cioccolato e caramelle avrà un risultato evidentemente diverso da quella che lasci spazio a frutta e verdura fresca, cereali integrali e proteine e grassi buoni.
Sapere come gestire i propri pasti resta uno strumento da utilizzare a proprio vantaggio, sapendo che, in barba a chi pensa solo alle calorie, assomigliando proprio a modelle e modelli o avvicinandocisi un po’ meno, esistono vie più serene e funzionali per camminare fieri verso la spiaggia, trovando salute e benessere lungo la strada.