Perché l’eliminazione alimentare non è mai la strategia vincente
Nella pratica clinica di tutti i giorni, approdano spesso pazienti che, reduci da molteplici diete, hanno eliminato negli anni moltissimi alimenti poiché correlati a determinate sintomatologie.
Il processo si ripete uguale per tutti: l’eliminazione di un certo alimento o categoria alimentare, comporta sempre un beneficio iniziale sul sintomo; tuttavia, questo si ripresenta poco dopo tale e quale a prima; eppure, l’alimento che si pensava fosse la causa scatenante non è più presente nella propria dieta. Perché succede questo?
Una persona abitudinaria, che mangia sempre gli stessi alimenti, ad esempio yogurt con cereali al mattino, pasta con parmigiano a pranzo e carne e zucchine alla sera, abituerà il suo organismo a vedere sempre le stesse categorie di alimenti.
Succederà che a un certo punto il nostro corpo inizierà a ribellarsi, poiché l’assunzione sistematica di un determinato cibo porta a un aumento dell’infiammazione e di conseguenza ad effetti negativi sull’organismo (gonfiore, problemi digestivi, dermatiti, problemi intestinali e molto altro).
La persona, quindi, imputerà questi sintomi a un determinato alimento (ad esempio il frumento o il latte) e inizierà a toglierlo dalla propria dieta, virando le sue scelte alimentari su altro (ad esempio riso o bevanda di riso).
Vi sarà un periodo di benessere iniziale fino a quando l’organismo non comprenderà che il problema si è semplicemente spostato dal frumento al riso, dal latte alla bevanda vegetale di riso. E quando inizierà ad esserci un abuso di riso e bevanda di riso, i sintomi riappariranno (più o meno simili a prima).
Nel centro SMA in cui lavoro insegniamo tutti i giorni che il cibo non è un nemico, ma è la modalità di alimentarsi che è sbagliata.
Viviamo in un mondo frenetico in cui si ha poco tempo e poca voglia di dedicare del tempo al modo di nutrirsi che spesso ci si focalizza solo su alcuni alimenti che diventano la nostra quotidianità.
Per questo motivo, condannare un alimento come il maggior responsabile di qualsiasi malattia è ormai un’indicazione obsoleta.
Molti studi a riguardo hanno osservato come alcune patologie siano mantenute attive dalla ripetuta assunzione di soia, riso e mais in Cina, mentre le stesse malattie in Europa siano correlate a glutine, lieviti e latte.
Si comprende quindi che non è il cibo il nemico, ma la ripetuta assunzione di certi alimenti che porta a un aspetto infiammatorio importante, alla base quindi di una sintomatologia evidente e alla sua patologia.
Quando si elimina un alimento per tanto tempo e si ha la necessità di reintrodurlo, è necessario “svezzare” l’organismo, allo stesso modo di quando un neonato inizia il suo svezzamento. Ciò che può fare il neonato, in modo graduale, è possibile anche nell’adulto per recuperare l’amicizia con l’alimento eliminato.
Attraverso la graduale e progressiva reintroduzione di qualsiasi alimento l’essere umano può arrivare a creare una relazione positiva con tutte le sostanze alimentari, senza avere alcuna risposta infiammatoria.
Per creare un rapporto fisiologico con il cibo il processo necessario nell’adulto è identico a quello che si mette in atto nel bambino.
Questo processo richiede inizialmente piccole quantità da inserire in almeno 2-3 giorni a settimana (la frequenza e la quantità si decide in accordo con il paziente e alle sue esigenze, ma anche in base alla sintomatologia che emerge con l’assunzione). Qualora il paziente non presentasse particolari sintomi o fastidi, le quantità vengono poi aumentate.
Ad esempio, nella persona che ha eliminato il frumento, si inizia inserendo una penna o un fusillo di frumento che si mette a cuocere con il resto della pasta (es. di grano saraceno, di riso, di mais). Lo si ripete per 2-3 volte a settimana e qualora questa quantità non dia fastidio, si passa ad utilizzare due penne o due fusilli. La quantità si aumenta e si procede fino a quando la pasta di frumento non abbia sostituito completamente la pasta senza glutine scelta.
La quantità di reintroduzione è soggettiva; la persona che ha eliminato la pasta di frumento per anni, inizierà con microscopiche quantità di frumento, mentre la persona che l’ha eliminata da poco tempo potrà iniziare da quantità maggiori.
La reintroduzione deve essere personalizzata, con l’obiettivo di recuperare la completa amicizia nei confronti degli alimenti e far comprendere al paziente che il cibo non è nostro nemico, ma dipende dall’uso che se ne fa.
Inoltre, è da tener presente che un soggetto meno infiammato risponderà alla reintroduzione dell’alimento in maniera migliore rispetto a un soggetto più infiammato pertanto, nel nostro centro si consiglia spesso l’esecuzione di test quali Recaller, Glycotest o Permè, che possono aiutare a ridurre lo stato infiammatorio dell’organismo e migliorare la condizione del paziente nel momento in cui si inizia il percorso di reintroduzione.
La varietà alimentare è quella che preserva da stati infiammatori che possono portare ai sintomi sopracitati (o anche ad altri) e che quindi possono peggiorare la qualità di vita del paziente.
Scegliere di variare la propria alimentazione, inserendo nel quotidiano 2-3 colazioni differenti invece che sempre la medesima, variando la scelta del cereale del pranzo (non utilizzando sempre pasta e pane, ma anche riso, grano saraceno, miglio, quinoa), modificando la frequenza delle proteine, virando dal pesce alla carne, ma anche dalle uova ai formaggi e sfruttando anche la soia è la strategia vincente per migliorare il proprio benessere e ridurre l’aspetto infiammatorio, evitando di generare sintomi spiacevoli legati alla ripetuta assunzione di determinati alimenti.