Autosvezzamento e tolleranza: quando anche i bambini hanno le loro ragioni
Noi ci occupiamo da anni di svezzamento, e chi ci conosce sa che spesso paragoniamo il percorso per raggiungere la tolleranza alimentare a quello dello svezzamento infantile. Per questo i lavori di Stockinger che ne parlano sono tra quelli che noi spesso proponiamo a chi percorre la strada del recupero della tolleranza alimentare.
I bambini nascono allergici e intolleranti a tutto e attraverso lo svezzamento riescono a produrre Interleukina 10 e a creare un rapporto di amicizia con il cibo, che rappresenta sempre la fonte di energia fondamentale. La stessa cosa deve fare un adulto nel momento in cui dovesse perdere quell’attivo controllo della reazione infiammatoria (che lo mantiene sano) e trovarsi in una condizione di intolleranza.
Per i bambini, negli anni passati c’è stata la proposizione di regole che nascevano dalla scienza medica dei pediatri, con schemi che potevano essere migliori o peggiori ma che spesso tenevano in scarsa considerazione l’individualità del singolo bambino.
Così, nel corso del tempo, abbiamo ricevuto indicazioni di ogni genere con proposte di schemi diversi relativi a date di inizio, tipo di cibi da inserire e così via. Chi nega qualsiasi utilizzazione di cibi diversi prima dei 12-14 mesi, chi pretenderebbe di iniziare la somministrazione di cibi pesantissimi già a 6 mesi e altre simili varietà. Tutti schemi che partono da teorie nate da dati scientifici collettivi con scarso riferimento alla individualità.
Negli anni passati c’è stata una lunga fase in cui il bambino, come entità singola è stato poco considerato, dando rilievo invece ai “bambini” intesi come collettività.
L’autosvezzamento è una tecnica che prevede di capire invece cosa voglia il bambino, che già a pochi mesi, quando si siede a tavola con i genitori, esprime delle preferenze e dei desideri verso ciò che la cultura dei suoi genitori propone e per ciò che in pratica questi mettono in tavola.
L’autosvezzamento prevede di assecondare i desideri del bambino dandogli da assaggiare e poi da mangiare gli alimenti che chiede istintivamente nel partecipare alla tavolata.
In sé è una modalità profondamente equilibrata, perché il lattante non ha gusti spiccatamente autolesionistici e il fatto di partecipare insieme ai genitori alla condivisione del cibo ha moltissimi aspetti positivi. Diciamo che la tecnica in sé è molto positiva e che la ritengo valida dal punto di vista medico, nella misura in cui contribuisce a ridurre le poppate quando si sia nella fase di distacco dal seno e soprattutto nella misura in cui si procede tenendo conto di alcuni elementi di riferimento.
Con queste situazioni di “controllo” l’autosvezzamento può aiutare la famiglia e la mamma a dare valore alla particolarità del proprio bambino (tenendo conto anche dei suoi rifiuti) e iniziare un cammino sano di amicizia col cibo e con la sua energia.