Non trattare il TSH elevato degli adulti. Nuove indicazioni a NON usare ormoni tiroidei solo in base al TSH. Anche nelle tiroiditi di Hashimoto
Fin dal 2008 abbiamo segnalato su queste pagine che l’uso dell’ormone sostitutivo tiroideo deve essere cauto e deve essere guidato dai sintomi reali e non solo sulla base di un innalzamento del TSH.
Se in quegli anni si diceva che questo poteva accadere negli anziani, la ricerca successiva ha evidenziato che questo può avvenire anche nelle persone che hanno più di 30 anni.
Per definire che la tiroide non stia funzionando, bisogna che davvero non funzioni. Oggi è certo che lievi oscillazioni di TSH non sono indicatori di disturbo tiroideo. Meritano attenzione e considerazione clinica, ma non eccesso di terapia che rischia di essere rischiosa. Inoltre è noto che il disturbo tiroideo è spesso effetto di una condizione infiammatoria che l’organismo sente come pericolosa, reagendo con una risposta ormonale.
Spesso infatti citochine infiammatorie come il BAFF sono l’effettiva causa delle alterazioni tiroidee e la vera terapia diventa allora il controllo infiammatorio. Attualmente si va spesso in eccesso di diagnosi, e l’eccessivo trattamento può diventare più rischioso della semplice attesa degli eventi e del controllo clinico nel corso del tempo, come abbiamo scritto già nel 2013.
Tiroiditi autoimmuni e di Hashimoto correlate al BAFF: l'importanza dell'infiammazione da cibo
Grazie a lavori pubblicati nel 2102, senza entrare in tecnicismi che risulterebbero inutili per la comprensione, si era definito che in assenza di condizioni specifiche (età del paziente, comorbidità, gravidanza, entità dei sintomi ecc.) fosse possibile idealmente attendere fino a un TSH di 10 mUI/L prima di suggerire in modo inequivocabile l’utilizzo della terapia sostitutiva (Garber JR, Cobin RH, Gharib H, etal; American Association of Clinical Endocrinologists and American Thyroid Association Taskforce on Hypothyroidismin Adults. Clinical practice guidelines for hypothyroidism in adults. Endocr Pract. 2012;18(6):988-1028).
Il 14 maggio del 2019, nella sezione “Practice”, il BMJ ha pubblicato delle “Rapid recommendations” in cui vengono ampliati questi limiti e per la prima volta in tanti anni si evidenziano in modo preciso i possibili danni dovuti all’uso incongruo e non necessario della levotiroxina sostitutiva (Eutirox e Tirosint, ad esempio) (Bekkering GE et al, BMJ 2019;365:l2006).
La raccomandazione fatta dal BMJ è molto forte e si configura già come una possibile “linea guida” per il futuro, ma non sembri che improvvisamente il BMJ sia “impazzito”. Viene detto con molta chiarezza che l’ipotiroidismo subclinico (cioè la situazione in cui il TSH si alza, anche se la funzione tiroidea rimane conservata, con FT4 regolare), in assenza di sintomi, non deve essere trattato anche se il TSH si avvicina a valori di 20 mUI/L.
Contemporaneamente precisa che è invece necessario sostenere la funzione tiroidea:
- in caso di donne che stanno cercando una gravidanza o che potrebbero diventare gravide
- in caso di soggetti giovani, inferiori ai 30 anni
- in caso di presenza di sintomi (circa un terzo dei pazienti può presentarli)
- in caso di assunzione già in corso di ormoni tiroidei (in cui la riduzione va decisa con cautela e sotto osservazione)
Significa quindi che la levotiroxina è un ottimo ormone sostitutivo, ma che indubbiamente oggi è prescritto in eccesso.
Le raccomandazioni valgono anche per le tiroiditi di Hashimoto e in genere per le tireopatie autoimmuni. Si calcola che solo il 2-3% degli ipotiroidismi subclinici da Hashimoto possa evolvere, ogni anno, verso un vero ipotiroidismo sintomatico. Si afferma con certezza però che la somministrazione anticipata dell’ormone non migliora la situazione e non ne previene l’evoluzione.
L’invito è quindi ad una riflessione ulteriore sul ruolo delle scelte terapeutiche. Credere di più nell’organismo sembra diventare ogni giorno più scientificamente documentato. Infatti, già da anni, nel nostro centro di Milano (SMA) i pazienti con problematiche tiroidee sono accompagnati verso la guarigione o il controllo del disturbo attraverso specifici percorsi terapeutici che prevedono il controllo dell’infiammazione, la riduzione del BAFF e il sostegno con miscele di minerali (con Selenio) e di aminoacidi (come la levo-Tirosina).
Interessante sarà ora seguire il dibattito che originerà tra i molti endocrinologi abituati a “trattare” come se fossero una malattia valori di TSH anche solo di 4.0 e i revisori di questa ricerca. Di fatto, però, la pubblicazione sul BMJ si presenta oggi forte e documentata e il panel di esperti che la ha supportata ha raccolto dati inoppugnabili su questo tipo di approccio che deve entrare nella pratica clinica di tutti.