Che cos’è l’infiammazione da cibo
Quando si parla di infiammazione, è sempre più diffuso il riferimento a qualcosa che riguarda l’intero organismo, senza fermarsi a un fenomeno solo locale.
Tutte le persone capiscono il significato di “infiammazione”, al punto che i farmaci antinfiammatori (che molti conoscono come analgesici, antifebbre, farmaci antidolorifici, antiemicranici e così via) sono in assoluto i più venduti al mondo, almeno come numero di pezzi.
L’infiammazione da cibo è una realtà ormai certa e la vera novità è che oggi è possibile misurarla e definirla (verificando i valori di BAFF e di PAF), andando quindi al di là della conoscenza delle sole VES e PCR che da oltre 50 anni restano incredibilmente gli unici due “indicatori di infiammazione” usati dalla medicina nella pratica clinica.
La medicina moderna si confronta invece quotidianamente con fenomeni di infiammazione a bassa intensità che spesso durano a lungo nel tempo e che per anni sono stati scarsamente compresi.
Le più recenti conoscenze scientifiche hanno invece consentito di misurare nuovi indicatori infiammatori e di comprendere finalmente le soluzioni ai molti problemi di salute correlati agli aspetti pro-infiammatori della nutrizione.
La percezione di una relazione diretta tra ciò che si mangia e numerose malattie o disturbi ha ricevuto conferme precise nel corso degli ultimi anni.
- Dal 2007 è confermato che alcune citochine, come il BAFF, si alzano nell’organismo quando un cibo determina dei sintomi percepibili (infiammazione da cibo).
- Dal 2011 la Harvard Medical School ha definito le regole per “nutrirsi bene”, definendo che una scorretta combinazione di proteine e carboidrati in ogni pasto può creare infiammazione.
- Dal 2017 è evidente, sul piano scientifico, che il 62% delle reazioni infiammatorie o allergiche di cui non si comprende la causa possono dipendere da un eccesso di zuccheri.
La scoperta che l’eccessiva o ripetitiva assunzione di un alimento o di un gruppo alimentare possa indurre la produzione di BAFF (B Cell Activating Factor) o di PAF (Platelet Activating Factor) e provocare tutti i sintomi infiammatori che usualmente sono ascritti al cibo risale a qualche anno fa, ma solo da poco viene applicata seriamente in ambito clinico.
Eppure proprio i valori di BAFF (misurabili attraverso un test per la valutazione della infiammazione da cibo) consentono di capire il livello di infiammazione correlata al cibo eventualmente presente in una persona e di agire in conseguenza per aiutare a ridurre quella stessa infiammazione e a controllarne gli effetti sulla salute.
Il BAFF alla base di molte malattie autoimmuni: importanti conferme da una ricerca italiana
Anche la definizione della “Gluten sensitivity” (una particolare risposta al glutine che provoca inizialmente sintomi simili a quelli della celiachia senza esserlo e che può riguardare anche oltre il 20% della popolazione sana) ha gettato altre luci sui fenomeni infiammatori da cibo.
In termini scientifici si parla della attivazione dei Toll Like Receptors 2 (TLR2), recettori che svolgono nell’organismo la funzione di segnalare un pericolo (in quel caso il superamento di un livello di soglia dell’assunzione alimentare ripetuta) e manifestano la reazione infiammatoria come fosse una “luce di allarme” perché si cambi il comportamento alimentare, come ho discusso in dettaglio nel mio libro “Le intollerane alimentari non esistono” (LSWR edizioni, 2019).
Fin dal 2010 si è capito che malattie immunologiche importanti come il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) o l’Artrite reumatoide sono sicuramente in connessione con questo tipo di infiammazione, e la pubblicazione nel 2017 sul New England Journal of Medicine di una ricerca internazionale sul ruolo del BAFF nelle malattie autoimmuni ha dato ulteriore conferma alla importanza di questa citochina.
Anche il semplice fatto di ingrassare in modo non compreso (per effetto sulla resistenza insulinica) o soffrire di colite è certamente in relazione con questi aspetti infiammatori.
La frequenza di sindromi infiammatorie o autoimmuni dovute ad un eccesso di assunzione di lieviti e sostanze fermentate è in continuo aumento
Lo studio di queste condizioni passa oggi, in modo moderno e congruo con le ultime ricerche scientifiche, attraverso la definizione di una infiammazione da cibo, misurabile in entità, con la valutazione di BAFF e di PAF, dalla evidenza di esami ematici come il complemento (C3 e C4), del numero di globuli bianchi e del numero di eosinofili (che in questi casi spesso sono alti) e dalla definizione dei profili alimentari individuali.
Il vero obiettivo per la salute è quello di ricostruire il fisiologico rapporto con gli alimenti e di imparare a mangiare in modo vario, sano e completo senza inutili restrizioni.
Grazie alle scoperte di Finkelman abbiamo capito che le Immunoglobuline G (IgG) nei confronti di un alimento possono essere semplicemente il segno di una precedente attivazione immunologica nei confronti di quel cibo (come quando da piccoli si è sofferto di una particolare reazione alimentare) oppure indicare, in accordo agli studi di Ligaarden, l’eccessiva utilizzazione di un alimento o la sua assunzione ripetuta e sistematica in caso di quantità ridotte.
Quindi le stesse IgG alimento-specifiche devono essere valutate per quello che sono: sono anticorpi protettivi dalle reazioni allergiche e indicano un eccesso alimentare o la ripetuta assunzione di un alimento. Rappresentano quindi una guida per impostare un approccio alimentare di riequilibrio verso quel gruppo alimentare o quell’alimento.
Usando le IgG come segnale di “avvenuto contatto” o come indicatori di un eccessivo utilizzo alimentare attuale, si può aiutare l’organismo a recuperare un controllo immunologico della risposta al cibo attraverso una pratica in tutto simile allo svezzamento infantile, ripercorrendo un percorso fisiologico di salute alimentare e immunologica.
Nel percorso alimentare verso la guarigione molti supporti naturali possono aiutare a ricostruire il naturale rapporto con il cibo, aiutando il controllo della infiammazione.
Da anni, nel nostro centro di Milano, seguiamo le persone che vogliono guarire da un’infiammazione dovuta al cibo, attraverso specifici percorsi terapeutici.
Fitoterapici come olio di Perilla, olio di Ribes nero e Curcuma, alcuni ceppi di probiotici e sostanze con potente azione di controllo antigenico, come quella esercitata dagli enzimi alimentari (Enzitox), sono di supporto ai cambi alimentari. Quando la digestione non è adeguata, gli antigeni alimentari che dovrebbero essere digeriti arrivano invece a livello intestinale dove possono diventare causa di infiammazione e dei sintomi correlati. L’uso di enzimi specifici può attenuare o risolvere questo tipo di problema.
Scoprire che basta fare dei cambi di abitudini alimentari e mantenere un rapporto di amicizia con il cibo per migliorare il proprio stato di salute con la capacità d misurare in modo scientifico e documentato quello che avviene è stato ed è un passo fondamentale della ricerca attuale.
Il mio ultimo libro, “Le intolleranze alimentari non esistono” porta come sotto titolo “La relazione infiammatoria tra cibo e salute finalmente spiegata in modo scientifico”. Per la prima volta vengono spiegate in modo organico le tre forme di infiammazione da cibo (almeno quelle che conosciamo finora) discutendo come mettere in pratica questa conoscenza nella propria quotidianità.