Infiammazione da cibo: come misurarla?

di Gabriele Piuri - Medico Chirurgo
1 Aprile 2014
Infiammazione da cibo: come misurarla?

DOMANDA

Buongiorno. Ho letto con attenzione gli articoli pubblicati sul vostro sito a proposito dell’infiammazione da cibo. È possibile misurarla?

RISPOSTA

Gentilissimo Lettore,

l’infiammazione è l’unica modalità che ha l’organismo per rispondere a qualunque stimolo irritativo esterno.

Le infezioni virali, l’inquinamento, lo stress, un’arrabbiatura, la mancanza di sonno, l’alimentazione sbagliata o il contatto con un’allergene a cui si è sensibili determina sempre un aumento dei livelli di infiammazione.

Alcuni di questo fattori possono essere modificati attivamente nel quotidiano, su altri invece è più difficile intervenire: se si abita a Milano poco si potrà fare contro l’inquinamento, mentre è sempre possibile modificare il modo in cui si mangia per mettere l’organismo nelle condizioni migliori per funzionare.

Una maggior infiammazione non determina automaticamente la comparsa di un sintomo, che appare solo al superamento di un livello di soglia, come un segnale dall’allarme.

L’infiammazione da cibo sempre di più gioca una ruolo importante nella terapia di molte patologie flogistiche.

L’effettuazione di un test per la diagnosi delle ipersensibilità alimentari permette di identificare i grandi gruppi alimentari a cui si è maggiormente sensibili.

L’impostazione di una dieta di rotazione settimanale ha l’obiettivo da un lato di ridurre l’infiammazione e dall’altro di aumentare il livello di soglia, che non è altro che l’espressione della capacità dell’organismo di adattarsi al mondo esterno.

Il dosaggio delle Immunoglobuline G specifiche per gli alimenti permette di identificare i grandi gruppi alimentari a cui si è maggiormente sensibili.

Quando si parla di ipersensibilità alimentari è sbagliato ragionare per singolo alimento. Un lavoro del nostro gruppo presentato un anno fa in occasione del FAAM 2013 a Nizza ha dimostrato l’esistenza di 5 grandi gruppi alimentari e che il sistema immunitario risponde in maniera simile ad alimenti appartenenti allo stesso grande gruppo.

Questi grandi gruppi alimentari sono specifici per popolazione e, ad esempio, mentre gli italiani sono maggiormente intolleranti al frumento, al latte e ai lieviti i giapponesi sono più sensibili ai grandi gruppi alimentari del riso, del pesce e della soia. 

L’innovazione più importante nel campo delle ipersensibilità alimentari riguarda la possibilità di misurare efficacemente quella che per anni è stata definita low grade inflammation (infiammazione a basso grado) e per cui valori come la VES e la PCR sono assolutamente inadeguate.

Il dosaggio di citochine infiammatorie come il BAFF e il PAF è una dato aggiuntivo di grande importanza che permette di studiare lo stato infiammatorio di ogni individuo valutandone l’andamento nel tempo e indirizzando la clinica.

Queste due citochine infiammatorie sono state identificate da Finkelman e Lied come l’anello di congiunzione che mette in relazione le IgG verso i cibi e la sintomatologia clinica nelle ipersensibilità alimentari non IgE mediate.

Oltre alla dieta, per ridurre l’infiammazione da cibo è possibile intervenire anche con le giuste terapie naturali.

Ad esempio è utilissima l’integrazione con minerali come Manganese, Rame e Zinco che da un lato riducono l’infiammazione e dall’altro aumentano il livello di soglia, inducendo tolleranza nell’organismo.

Di grande aiuto anche l’Olio di perilla e l’Olio di ribes nero che grazie al loro bilanciato contenuto di acidi grassi Omega 3 e Omega 6 sono efficaci per ridurre l’infiammazione.

Per finire, in chiave omeopatica si utilizzerà un rimedio come Histaminum 9 CH di cui assumere 3-4 granuli 3-4 volte al dì per qualunque sintomo allergico, un po’ come fosse un antistaminico naturale.