Bibite, soft drink e obesità: ovunque nel mondo chi ne beve aumenta di peso
La convinzione che l’uso di bibite dolcificate contribuisse all’aumento di peso (indipendentemente dal calcolo delle calorie) per una specie di effetto ingrassante diretto, si sta dimostrando scientificamente vera e purtroppo valida per tutti gli strati sociali.
Nel corso degl anni la semplice osservazione “a buon senso” dei dati clinici ha messo in chiara evidenza questo fenomeno e alcuni studi hanno confermato sia il ruolo dello zucchero sia quello della dolcificazione a “calorie zero” nell’indurre questo tipo di risposta metabolica.
Una ricerca svolta da un gruppo di scienziati britannici della Cambridge University assieme a ricercatori statunitensi della Stanford University e pubblicata in questi giorni sull’American Journal of Public Health ha definito che il consumo di bibite zuccherate o dolcificate è strettamente correlato, in almeno 75 nazioni del mondo, con l’aumento di peso, con l’ipertensione arteriosa e con il diabete. Questo grave aumento di patologie si può riscontrare in qualsiasi classe sociale (Basu S et al, Am J Public Health. 2013 Mar 14. [Epub ahead of print]).
Il lavoro svolto dai ricercatori ha portato a valutare gli indici di correlazione esistenti tra l’assunzione di soft drink e diabete, obesità e ipertensione. Il gruppo di controllo è stato costituito da persone che bevessero solo acqua minerale gasata, ovviamente né zuccherata né dolcificata. Il trend di crescita dell’uso di acqua gasata è infatti del tutto sovrapponibile a quello delle bibite gasate.
Lo studio ha tenuto conto anche di altri importanti fattori, come l’uso di cereali, di carne bovina, di futta e verdura, di olio e dell’assunzione complessiva di calorie, della disponibilità economica, del livello di urbanizzazione e dell’età. Negli ultimi 13 anni il consumo individuale di bibite gasate è salito dalla media di 35 litri all’anno ai 43 litri per persona, che corrisponde a circa il 25%in più del consumo di base.
Un semplice aumento di consumo sociale dell’1% in più porta 5 persone su 100 a diventare sovrappeso, 2,5 persone su 100 a diventare obese e 3 su 1.000 a diventare diabetiche.
Si tratta di una correlazione impressionante, che va ben oltre gli effetti della lesività individuale. Se pensiamo ai costi sociali indotti da questo tipo di malattie e alla responsabilità di aziende che continuano ad aumentare volutamente il contenuto di zucchero nascosto nei cibi che producono, per facilitare l’acquisto di cereali per le prime colazioni, che ormai assomigliano sempre più a biscottini camuffati da “cibo sano”, c’è davvero di che mettersi le mani tra i capelli.
Con un lavoro molto simile, in queste stesse settimane un’altra ricerca, pubblicata su Public Health Nutrition, ha confermato la stessa relazione tra disponibilità alimentare di zucchero e aumento della pressione arteriosa e obesità (Siervo M et al, Public Health Nutr. 2013 Feb 18:1-10. [Epub ahead of print]).
Questo significa una cosa bellissima: che si può scegliere come orientare la propria vita e che l’obesità non è frutto solo di una induzione genetica o di caratteristiche ereditate dai propri parenti.
Ogni individuo può studiare il proprio profilo alimentare e mettere in pratica cambi nutrizionali che garantiscono il piacere e il gusto senza facilitare malattie.