La sensibilità al glutine esiste e non è celiachia. Sintomi uguali per terapie diverse
Si dibatte molto sulla sensibilità al glutine non celiaca (NCGS) ed esistono interpretazioni diverse di questa malattia, che portano a criteri di terapia molto diversi tra loro.
Di sensibilità al glutine si guarisce mangiando glutine, mentre di celiachia (fino ad ora) non si guarisce e l’eliminazione è l’unica strada dietetica accettata. Però i confini diagnostici tra queste forme sono talvolta sottili e ogni nuova scoperta porta a nuove considerazioni.
Eurosalus ne ha parlato in numerosi articoli e il dibattito è aperto, ma nel novembre del 2014 si è evidenziata sul piano scientifico la contraddizione tra due scuole, entrambe di alto valore, che nello stesso momento hanno espresso concetti praticamente opposti gli uni agli altri.
La definizione che è emersa dal Convegno di Salerno (Novembre 2014) e che è stata pubblicata su Nutrients nel luglio 2015 definisce la NCGS come una patologia da glutine, facendo riferimento a uno schema diagnostico simile a quello ampiamente criticato negli anni ’90 per la diagnosi delle cosiddette “intolleranze alimentari” (carico in “aperto”, sintomi autovalutati, diete di eliminazione di 6 settimane con reintroduzione autogestita e così via), che entrano in contrasto con anni di scientismo nella definizione delle reazioni a cibo e rischiano di creare una rottura con i bisogni emergenti della popolazione.
Mentre dal convegno di Salerno sono emerse indicazioni sul glutine, ritenuto unico responsabile di questa forma, dall’altra parte dell’oceano, alla Mayo Clinic, le indicazioni date da uno dei massimi esperti statunitensi di malattia celiaca, il gastroenterologo Joeph A. Murray, e pubblicate sul libro della Mayo Clinic “Going gluten free“, riguardano l’esistenza di una sindrome, dipendente da molteplici caratteristiche della persona che ne soffre, come infiammazione, qualità degli alimenti, presenza di altre patologie e così via.
Dal suo testo emerge che per una sindrome, cioè una somma di sintomi, è necessario considerare la eventuale presenza di biomarkers infiammatori e non solo di sintomi specifici glutine-correlati. Non è detto cioè che la causa sia solo il glutine, ma anche la componente infiammatoria di quell’organismo e va considerata la polifattorialità di questa situazione.
Insomma, da una parte c’è chi cerca di incolpare il glutine, mentre dall’altra parte viene riconosciuta una sindrome legata al modo in cui l’organismo si sta comportando. Da una parte il glutine dall’altra un individuo. Il secondo tipo di valutazione è quella che maggiormente condividiamo, sostenendo che “non esiste cibo contro”, come ben evidenziato da Cai su PLoS One ancora nel 2014.
Un gruppo di ricerca del San Matteo di Pavia e della Università di Bologna ha pubblicato su Clinical Gastroenterology and Hepatology alla fine del 2015 una ulteriore conferma clinica della risposta al glutine, anche per piccole quantità introdotte nella dieta, in assenza di allergia al frumento e in situazioni radicalmente diverse da quelle della celiachia; si tratta di uno studio randomizzato in doppio cieco e cross over, confrontato con placebo, che ha confermato l’esistenza della NCGS (Di Sabatino A et al, Clin Gastroenterol Hepatol. 2015 Sep;13(9):1604-12.e3. doi: 10.1016/j.cgh.2015.01.029. Epub 2015 Feb 19).
La stessa Mayo Clinic ha pubblicato in tal senso una ulteriore review, confermando l’esistenza della Gluten sensitivity come elemento intermedio tra la celiachia, legata ad un aspetto autoimmune, e la allergia al glutine, dipendente dalle IgE e dal loro contatto con gli antigeni.
La sensibilità al glutine non celiaca dipende in realtà dalle reazioni indotte dal contatto con virus, batteri o alimenti, che origina dalla immunità innata, in particolare dai Toll Like Receptors (TLR), come già indicato fin dal 2010 da Biesekiersky (Vazquez-Roquez M et al, Mayo Clin Proc. 2015 Sep;90(9):1272-7. doi: 10.1016/j.mayocp.2015.07.009).
In queste forme di sensibilità al glutine infatti, nel nostro centro lavoriamo attraverso percorsi terapeutici ben definiti per il recupero della tolleranza e per il miglioramento dello stato di salute, aiutando le persone con sintomatologie intestinali o sistemiche (dall’artrite all’emicrania) a recuperare il proprio benessere, evitando di considerare il glutine un nemico.
Queste considerazioni confermano in modo ancora più deciso che la reazione al glutine dipende dalle condizioni generali dell’organismo e dal contatto con gli alimenti e con l’ambiente esterno.
La presenza ad esempio di BAFF elevato, oggi misurabile con facilità, porta ad una maggiore reattività da parte degli stessi TLR e stimola una maggiore reazione al glutine. Questo aspetto induce una riflessione generale sulla celiachia e sul suo sviluppo negli ultimi anni.
Una ricerca pubblicata nell’Aprile 2017 su Science indica infatti che nei soggetti celiaci, pur esistendo una predeterminazione genetica, esiste una maggiore presenza di anticorpi nei confronti di un particolare virus. Questo sembrerebbe confermare l’idea che la stessa genetica celiaca sia influenzata da fattori epi-genetici, quali appunto possono essere una infiammazione da cibo, una infezione virale preesistente, la particolare presenza di contaminanti ambientali, uno specifico microbioma intestinale e così via (Bouzlat R et al, Science. 2017 Apr 7;356(6333):44-50. doi: 10.1126/science.aah5298).
A conferma, nel Marzo 2017 il già citato Murray (l’esperto della Mayo Clinic) ha segnalato in un lavoro pubblicato sull’American Journal of Gastroenterology che nelle rare forme di celiachia refrattaria al trattamento dietetico funziona molto bene il trattamento locale con budenoside, un cortisonico antinfiammatorio, mentre non agiscono altri immunosoppressori, a testimonianza del ruolo dell’infiammazione nella manifestazione della malattia (Mukewar SS et al, Am J Gastroenterol. 2017 Mar 21. doi: 10.1038/ajg.2017.71. [Epub ahead of print]).
La celiachia sta indubbiamente cambiando e non è più una forma così definita e certa come è stata pensata in questi ultimi anni.
In alcuni specifici casi, si è potuto ottenere una apparente guarigione della celiachia attraverso l’interferenza sull’infiammazione e con la ripresa della introduzione di glutine nella dieta. Si tratta di casi legati alla ricerca, ma gli eventi biologici fanno riflettere sulla malattia e sulla sua storia naturale.
Abbiamo ancora molto da studiare, ma la strada è questa: sull’organismo ci sono varie interferenze possibili e molteplici sono le possibili modulazioni epi-genetiche.
Non siamo più di fronte a una patologia definita stabile, immobile e assoluta. La genetica è importante ma le condizioni ambientali lo sono nello stesso modo e la loro interazione reciproca apre per il futuro nuove possibilità di studio e di terapia.