Metà del mondo con il diabete anticipa il crollo dei sistemi sanitari
Nelle scorse settimane, giusto a cavallo di Ferragosto, l’edizione online di “The Guardian”, una delle più accreditate riviste britanniche, segnalava che la imponente crescita dei casi di diabete stesse anticipando di poco la bancarotta del NHS (il Sistema Sanitario Pubblico Britannico).
Appare quasi incredibile se si pensa alla forza con cui quello stesso servizio pubblico sia stato presentato addirittura nella cerimonia di apertura delle ultime Olimpiadi di Londra nel luglio del 2012.
Negli ultimi 10 anni almeno 1.000.000 di persone si sono aggiunte ai diabetici già conosciuti e oggi il loro numero in UK è di circa 3.335.000. Di questi solo 6 su 10 si curano in modo appropriato, quindi quasi la metà si controlla malamente, evita scelte alimentari e di stile di vita positivo e facilita così la comparsa di complicazioni diabetiche legate all’obesità, ai problemi circolatori, alla demenza, alla necrosi delle estremità e alla amputazione degli arti e all’ictus (con tutte le conseguenze che ne derivano, in termini di qualità di vita e di spese, dirette e indirette).
Il costo della cura per i diabetici in UK è di 14 miliardi di Euro all’anno e l’80% di questi denari sono usati per curare complicazioni prevedibili.
Diabetes UK (la charity britannica che fornisce questi dati) segnala che la previsione per il 2025 è purtroppo di raggiungere i 5 milioni di ammalati sul territorio britannico.
Non è tanto la spesa per il trattamento del diabete che spaventa, quanto quella per la gestione delle complicanze, in grado, con questi numeri, di mandare in bancarotta qualsiasi sistema sanitario.
La ricerca pubblicata in settembre 2015 su JAMA non fa che confermare questi dati: lo statunitense Menke ha confrontato i dati di prevalenza diabetica nella popolazione americana adulta tra il 1988 e il 1994 e poi in un successivo periodo di tempo tra il 1999 e il 2012 (Menke A et al, JAMA. 2015 Sep 8;314(10):1021-9. doi: 10.1001/jama.2015.10029).
Il risultato è in grado di fare rizzare i capelli a chiunque e di fare venire l’ansia a qualsiasi amministratore pubblico.
La prevalenza stimata di diabetici nel 2012 è passata al 14% della popolazione, mentre la condizione prediabetica riguarda il 37% della popolazione nel 2011 e il 38% nel 2012.
La condizione prediabetica è definita da livelli fino a 6,4% di emoglobina glicata e glicemia basale tra i 100 e i 125, condizioni che nella maggior parte dei casi evolvono in breve verso la patologia diabetica.
Sembra presentarsi una situazione molto simile a quella descritta per la popolazione Cinese solo pochi mesi fa.
E l’Italia non è da meno. I dati dell’annuario statistico ISTAT 2014 indicano che è diabetico il 5,5% degli italiani (5,3% degli uomini e 5,6 % delle donne), con oltre 3 milioni di persone che ne soffrono.
Si è passati dal 3,9% nel 2001 al 5,5% nel 2014. La differente localizzazione geografica ci dice però che la maggiore diffusione si ha nel Sud (6,6%) e nelle Isole (6,0%), dove evidentemente la Dieta Mediterranea è un ricordo atavico.
Secondo l’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO), la malattia tende a espandersi di anno in anno, e sono almeno 1,8 milioni di persone, un ulteriore 4% della popolazione adulta, a soffrire di ridotta tolleranza al glucosio, la stessa condizione descritta su JAMA come prediabete.
Di fronte ad un panorama di questo genere, che vede anche la drammatica ascesa del diabete in chi oggi utilizza malamente i carboidrati (in Cina ad esempio, dove oltre il 10% della popolazione è diabetica, ma quasi il 40% della popolazione è in procinto di diventare tale), l’attenzione alla prevenzione non è più un problema solo individuale.
I costi sociali generati da questo stato di cose devono essere valutati con forte priorità e con un occhio fermo sui principi dell’etica.
Io personalmente sarei molto adirato se lo Stato cui pago le tasse non fosse più in grado di supportare l’appendicite acuta di un mio figliolo perché oberato dai costi di chi continua a fare prima colazione a base di merendine e brioche e prende il caffè da distributori automatici che scientemente codificano di aggiungere lo zucchero a ogni tazzina, obbligando chi non lo vuole a spesso inefficaci equilibrismi sull’apparecchiatura per averlo senza zucchero.
Sulle responsabilità pro-diabetica della dolcificazione e dello zucchero e sui problemi indotti dall’eccesso di carboidrati ci siamo espressi di recente con un articolo fortemente critico.
Da anni accompagniamo chi cerca di riequilibrare questi aspetti attraverso percorsi terapeutici che guidano le persone a ritrovare il benessere grazie a scelte alimentari corrette, attraverso il controllo dell’infiammazione che genera resistenza insulinica, attraverso lo stimolo all’attività fisica, indicazioni sul digiuno breve e sull’importanza della prima colazione.
Pur nel rispetto della libertà individuale diventa indispensabile, da parte di ogni Stato Europeo, cavalcare la giusta formazione di bambini e adulti attraverso principi salutistici documentati.
In questo senso, anche la sola necessità di opporsi all’uso dello zucchero non è ancora riuscita a superare i muri delle lobby, e sappiamo che anche solo su questo tema il dibattito sarà ampio e durevole.
Apprendere stili di vita che riportino il diabete alla sua naturale prevalenza non è solo un problema del singolo individuo, ma anche di chi forma e informa, attraverso pubblicità e forme di tassazione o di agevolazione, i comportamenti sociali.