Saltare la cena per ridurre le recidive tumorali: altre ragioni per il digiuno breve
Non assumere cibo durante quelle 13 o 15 ore che comprendono anche la notte e le ore di riposo ha una precisa azione sul metabolismo degli zuccheri e, se il “salto della cena” è ripetuto più volte, questa scelta alimentare riduce fortemente il rischio di una recidiva tumorale in chi sia ammalato di cancro.
Nell’articolo “Segnali dal cibo: il digiuno breve in pratica” sono riportati tutti gli aspetti scientifici e applicativi per attivare nel modo migliore il segnale di dimagrimento e di regolazione insulinica attivabile dalle 15 ore di digiuno.
La scoperta che scelte alimentari molto simili a questa pratica abbiano effetti significativi e importanti sulla recidiva del cancro della mammella è sicuramente rivoluzionaria anche se non giunge inaspettata.
Evitare di mangiare di notte e lasciare una fase serale e notturna di astensione dal cibo di almeno 13-15 ore modifica il profilo metabolico degli zuccheri, migliora la sensibilità insulinica e riduce l’infiammazione: tutti elementi che la scienza già riconosce come importanti nella prevenzione e nella terapia antitumorale.
I lavori sperimentali effettuati sui roditori e quelli nutrizionali affrontati nell’uomo hanno rappresentato la base per questo studio.
Un gruppo di ricercatori californiani del San Diego Moores Cancer Center ha seguito per quasi 12 anni un gruppo di circa 2.500 donne operate per un cancro della mammella e ha valutato, pubblicandolo poi su JAMA Oncology, il rischio di recidiva tumorale (la scoperta di metastasi o di secondarismi a distanza dal primo intervento) nelle donne che di notte dormivano senza mangiare oppure che cenavano presto e che poi rimangiavano solo alla prima colazione del giorno successivo (Marina CR et al, JAMA Oncol. 2016 Mar 31. doi: 10.1001/jamaoncol.2016.0164. [Epub ahead of print]).
Per immaginare che tipo di organizzazione della giornata consenta questo tipo di impostazione si può pensare a una cena completata entro le ore 19.00 senza assumere altri alimenti fino alla prima colazione delle 8 del mattino successivo (sono 13 ore di astensione dal cibo). Oppure si può pensare ad una situazione in cui, dopo una prima colazione, un pranzo e una eventuale merenda fatta entro le 16-17, si attivi il processo del “digiuno breve” di almeno 15 ore per arrivare ad un gratificante breakfast da fare alle 6 o alle 7 dopo effettive 15 ore di astensione alimentare.
I risultati di questa ricerca sono di importanza enorme. Un intervallo alimentare inferiore alle 13 ore (dovuto al ripetersi di cene tardive o alla assunzione notturna di cibo) ha documentato un rischio di recidiva tumorale del 40% superiore rispetto a chi invece avesse lasciato uno spazio maggiore di astensione alimentare a cavallo del riposo notturno, come descritto in un commento al lavoro del JAMA pubblicato su Odin.
Nel gruppo di donne seguite per questa ricerca la riduzione del rischio di recidiva era affiancata da una ridotta concentrazione di emoglobina glicata e da una maggiore durata del sonno notturno, al punto che un intervento diretto a aumentare le ore di astensione notturna dal cibo e a prolungare il sonno potrebbe ridurre il rischio di insorgenza del diabete di tipo 2, di malattie cardiovascolari e, nelle intenzioni degli autori, ridurre anche il rischio di altre forme di cancro.
Inoltre, ogni 2 ore in più di “astensione” dal cibo, andando quindi verso quelle 15 ore teorizzate dal “digiuno breve”, gli oncologi californiani hanno evidenziato un’ulteriore riduzione, significativa, del livello di emoglobina glicata nelle persone interessate.
Diventerà necessario andare tutti “a letto con le galline”?
Fortunatamente no, anche perché se rimane valido il fatto che i migliori segnali di adeguatezza metabolica vengono forniti da una cena leggera e da una prima colazione molto più ricca (come riportato nell’articolo “Nutrirsi bene: le buone abitudini per la forma e il benessere“), è anche vero che i lavori di Chaix hanno dimostrato che una abitudine sana come quella di mangiare poco a cena e di lasciare alla notte uno spazio di riposo anche dalla ripetuta assunzione di cibo, con le 15 ore di digiuno breve, attiva alcuni specifici geni che consentono di resistere bene a due giorni di alimentazione libera (che potrebbero corrispondere al periodo del weekend).
Questo significa che mentre un’alimentazione libera prolungata riporta l’organismo verso l’accumulo di grasso e lo squilibrio insulinico, l’inserimento di uno schema alimentare come quello proposto dallo short fasting consente una maggiore libertà d’azione e l’inserimento nella settimana di qualche serata più libera prima di riprendere lo schema proposto (Chaix A et al, Cell Metab. 2014 Dec 2;20(6):991-1005. doi: 10.1016/j.cmet.2014.11.001).
Non si tratta quindi di decidere di andare “a letto con le galline” ogni sera, ma di fidarsi della capacità di adattamento dell’organismo.
L’obiettivo generale deve mirare a migliorare la sensibilità insulinica, a controllare l’infiammazione da cibo, a evitare l’aumento della glicemia e della emoglobina glicata e a stimolare un atteggiamento metabolico positivo in cui si mantenga la parte muscolare e si controlli l’aumento di massa grassa.
Questo non si ottiene con una ricetta precisa, ma con la giusta integrazione degli strumenti possibili in un quadro individualizzato.
La ricerca dei colleghi californiani ha dato in questo senso un nuovo livello di conoscenza e un sicuro spunto di riflessione aggiuntiva per tutti.
L’aspetto rivoluzionario è la documentazione di una sempre maggiore importanza dei segnali dati dal cibo.
Il controllo dell’infiammazione e la regolazione degli squilibri insulinici non si ottengono secondo obsoleti schemi ipocalorici, ma con aspetti nutrizionali innovativi che finalmente vedono il cibo in modo meno meccanicistico e danno valore alla sua composizione e alla relazione che ha con chi se ne nutre, a partire dall’orario della prima colazione e di quello della cena, per far sì che la propria cena non diventi, anziché un momento di gioia e condivisione, una vera e propria “cena delle beffe”.