7 bambini su 100 vittime di errori ospedalieri
7 bambini ogni 100 ricoveri (1 su 15) negli ospedali americani subiscono seri danni per l’uso di farmaci da parte del personale medico. L’allarme è stato lanciato dall’attore Dennis Quaid, i cui figli gemelli hanno rischiato di morire per un problema di questo tipo nell’ultimo mese di novembre.
A partire da quanto accaduto all’attore texano, si è scoperto un mondo fatto di errori e negligenze, nonché di premature scomparse dovute a sovradosaggi e a uso improprio di farmaci ben più esteso di quanto non si possa credere. Lo studio su questo fenomeno è stato condotto dal dott. Charles Homer, professore nel National Initiative for Children’s Healthcare Quality. La stima di 1 bambino su 15 vittima di errori nel dosaggio dei farmaci è niente se si osservano i dati aggregati, che formano una proiezione annua del fenomeno.
Uno studio sviluppato dal governo ci dice infatti che ben il 7% dei bambini ospedalizzati negli Stati Uniti, pari a circa 540.000 unità, è vittima di errori nella somministrazione dei farmaci e subisce danni per la propria salute. Il contro-studio effettuato dalle autorità ospedaliere parla di un 4% annuo. Tralasciando la disputa sulla quantità di “sondato”, quello rilevato resta un dato comunque allarmante non solo per proporzioni, ma soprattutto per la rilevanza e la sensibilità del tema.
Qualsiasi cosa tocchi l’universo dei piccoli resta un tabù e crea indignazione e scoraggiamento fra la popolazione e nella società civile. L’America, culla della democrazia e delle “opportunità per tutti”, non è nuova a tristi rovesci della medaglia. Per una sanità basata su stretti rapporti assicurativi privati, che economicamente funziona e è quindi lo specchio di una vittoria della nazione in campo medico, ci sono fenomeni problematici come quello qui presentato che inducono una riflessione. A rigor di logica la redditività e il buon funzionamento della branca sanitaria del welfare americano dovrebbero condurre a una migliore specializzazione e a una più proficua preparazione del personale medico, con notevoli vantaggi sia sulla qualità di cure e di interventi, che sulla vita dei pazienti. Fattivamente pare che non sia così.
Che siano queste stime sugli errori nella somministrazione dei farmaci ai bambini degli States l’ennesima conferma che il buon funzionamento del campo medico sia di per sé svincolato da aspetti economici e che la bravura vada rintracciata piuttosto nella semplice passione e abnegazione di bravi medici? Può essere, ma forse è una generalizzazione eccessiva parlare in questo senso. L’Italia, con uno dei bilanci sanitari più disastrosi nel vecchio Continente sembrerebbe non registrare, a livello di infanzia, alcuna problematica simile. Forse è individuabile una vicinanza del pediatra di libera scelta italiano al “buon padre di famiglia” che difficilmente si comporterebbe, anche sotto pressione, in maniera difforme da come farebbe con i propri figli; cosa pressochè insondabile nel sistema sanitario privato americano, in cui probabilmente i medici sono più degli amministratori, vicini alla figura del manager.
Il problema quindi sembra presentarsi come “di sistema” più che riguardare il singolo bambino. Specchio di questa considerazione è il fatto che effettivamente il caso sia sorto come rilevante all’opinione pubblica solo nel momento in cui una persona famosa ha “inciampato” nell’anomalia, che altrimenti sarebbe stata nascosta ai più. In America, forse, la tutela del rischio (sanitario e non) penalizza gli ultimi, cioè coloro che per condizione naturale (i bambini, appunto) o contingente (ora anche il ceto medio) si trovano in situazione di non potere tutelare attivamente i propri interessi, in questo caso la salute. Forse è il momento per il governo di intervenire per fermare l’escalation del problema, e sicuramente siamo nel momento storico in cui andrebbe ripensato il modo di affrontare le malattie, anche con l’aiuto di strumenti dolci e di tecniche terapeutiche adatte al rispetto dell’individuo.
Le possibilità ci sono e basterebbe usarle.