Un prodotto alimentare su cinque conterrebbe allergeni non dichiarati. Anche quelli per celiaci
Non bastavano le notizie sulla presenza di contaminanti tossici nelle derrate alimentari che ci hanno “rallegrato” nell’ultimo anno. Oggi, secondo una indagine molto precisa svolta dal Movimento Consumatori e pubblicata sul numero del 25 gennaio 2007 della rivista “Il Salvagente” , anche molti degli alimenti controllati, come quellli “privi di glutine”, contengono sostanze non dichiarate.
Eurosalus, per dovere di cronaca, ritiene utile mettere a disposizione dei lettori, nei due documenti a fondo pagina, sia i risultati delle analisi effettuate, sia la relazione conclusiva redatta dal Movimento Consumatori e coordinata in particolare da Beppe Riccardi, esperto di sicurezza alimentare del Movimento.Questi dati sono stati comunicati e divulgati nel corso del convegno pubblico tenutosi a Cuneo il 30 gennaio 2007, e pubblicati precedentemente sulla rivista di settore Il Salvagente.
I produttori “fuori legge”, tra cui moltissimi nomi illustri, si sono immediatamente difesi precisando che le eventuali contaminazioni non riguardano la loro tecnica produttiva, ma solo eventuali contaminazioni ambientali o involontarie, che mantenendo la contaminazione al di sotto dei livelli minimi garantiti dalla legge, non prevedono la indicazione in etichetta (Direttiva 2003/89/ComunitàEuropea, recepita in Italia con la Legge 62 del 18 aprile 2005). La legge infatti obbliga i produttori ad indicare in etichetta tutti gli ingredienti che potrebbero determinare allergie o intolleranze alimentari anche in piccola quantità tra quelli presenti in questo elenco:
- Glutine o cereali che lo contengono
- Crostacei
- Uova
- Pesce
- Arachidi
- Soia
- Latte
- Frutta a guscio
- Sedano
- Senape
- Sesamo
- Anidride solforosa e solfiti se sopra i 10mg/Kg
Rispettiamo la buona fede delle aziende, ma stando alle dichiarazioni rilasciate appunto alla rivista, e riportate nell’articolo di Giorgia Nardelli, le diverse aziende segnalano, nel caso, solo eventuali responsabilità di fornitori a monte che non rispetterebbero gli standard produttivi codificati.
Ovviamente la polemica potrebbe andare avanti a lungo: da una parte una Associazione di Consumatori che usa strumenti di analisi precisi e costosi, documentati, da cui emergono risultati sorprendenti, dall’altro aziende che contestano i dati, segnalano le loro varie autorizzazioni ottenute a seguito di ispezioni del Ministero della Salute, e si dichiarano assolutamente in regola con la legge. Nel caso di riscontro di contaminanti simili tra la analisi della Associazione e le controanalisi delle ditte, il valore di quello delle ditte produttrici era sempre comunque all’interno dei parametri di accettabilità.
Di fatto quindi la possibile presenza di sostanze indesiderate, sollevata dal Movimento Consumatori, rimane come un sasso tirato nello stagno: nessuno cambia nulla, e l’ignaro cittadino deve cavarsela come può.
Ma da questa indagine, comunque la si voglia leggere, emerge un dato davvero particolare per quanto riguarda il glutine. Mentre tutti i celiaci si aspetterebbero di potere usufruire di prodotti (considerato il costo) del tutto privi di glutine, la normativa italiana prevede che il glutine non superi la quantità massima di 20 milligrammi per Kg di di prodotto, cioè la concentrazione di 20 ppm. Anche l’Istituto Superiore della Sanità segnala che il limite è stato stabilito in base ai dati di letteratura che dimostrano come la sostanza a concentrazioni così basse non abbia effetti su soggetti con intolleranza al glutine.
Il Sistema Immunitario quindi, contrariamente a quanto di solito viene fatto credere, è in grado di adattarsi egregiamente anche in presenza di piccole quantità di glutine. Fenomeno questo che avvalora la natura della celiachia non sempre e solo causata da allergia immediata, ma anche da allergia ritardata (come spiegato da Hugh Sampson al congresso mondiale di Allergologia di Vancouver, nel 2003), consentendo quindi ampie riflessioni sulle diverse possibilità di affrontare la celiachia stessa al momento del suo esordio.
In pratica quindi è fondamentale che chi ha davvero una allergia immediata ad una sostanza, con rischio di shock anafilattico grave, e che quindi non è riuscito in alcun modo a recuperare tolleranza nei confronti delle sostanze responsabili, valuti con attenzione l’utilizzazione di cibi complessi e di produzione industriale. Le possibilità di contaminazione, dentro o fuori del luogo di produzione sono tante e il gioco potrebbe non valere la candela.
Dottor Attilio Speciani , allergologo e immunologo clinico