Quello stress che rende più forti
Per stress si intende anche malattia e, oggi più che mai, sembra che il concetto di crescita all’interno del percorso patologico acquisisca rilievo nella comunità scientifica.
Nelle scorse settimane si è tenuto a Parigi il primo congresso mondiale sulla resilienza. Il concetto sembra difficile, e invece per “resilienza” si intende solo e semplicemente la facoltà del malato di “andare oltre” la malattia, e di risultarne accresciuto, fortificato.
Spesso chi esca da malattie importanti o da periodi delicati si sente più vero e reale, più solido e anche in grado di piegarsi di più, restando comunque saldo in se stesso. Ne era stata la dimostrazione il poster costruito dal Times che raccoglieva le esperienze di chi era guarito dal cancro. La guarigione è un percorso che lascia una traccia importante come qualsiasi esperienza. I periodi di stress importante, come quelli in cui rimettere in discussione la propria esistenza è necessario, obbligano ad utilizzare anche le risorse che generalmente non vengono considerate e che fanno invece, in qualche modo, parte del proprio background.
È come se la malattia spremesse ogni capacità inespressa utile alla sopravvivenza e alla sopravvivenza pacifica. Nella saggezza popolare si dice che chi ha il fuoco sotto i piedi si ingegna. Allo stesso modo entra in gioco la tendenza di ciascuno alla sopravvivenza, atta a trovare una soluzione anche e soprattutto al momento di difficoltà. Se è vero che la parte psichiatrica e psicologica rappresenta una svolta importante nella patologia stessa (grado di felicità e infiammazione sono strettamente dipendenti), il concetto vale in maniera più che significativa anche qualora la guarigione non dovesse avvenire: il malato impara a vivere in maniera serena e ad essere un supporto e un esempio per il resto della comunità, svolgendo un ruolo sociale importantissimo, per se stesso e per gli altri. Chi passa attraverso alla malattia o alla parte stressante della stessa, si dice “rinato una seconda volta”, trovandosi a dare un valore differente alle cose e all’esperienza dell’esistenza stessa.
Un interessante studio svolto alle Hawaii ha coinvolto 698 bambini dell’isola di Kauai (i nati nell’anno 1955), che sono stati seguiti fino ai 32 anni considerando i fattori di rischio degli uni e degli altri e osservando il fatto che chi si trovava in condizioni di rischio perinatale, chi fosse passato attraverso situazioni difficili in famiglia o altro, sia in alcuni casi diventato un adulto con sensibilità positiva e competente a livello pari o maggiore rispetto a chi non era passato attraverso la stessa esperienza. Tale studio rappresenta il punto di partenza su considerazioni interessanti per ogni genitore e insegnante, così come nel campo dell’assistenza medica, sanitaria o umana, ponendosi come base per l’analisi di quali siano gli atteggiamenti favorevoli a tale tipo di disposizione positiva nell’essere umano. Ciascuno acquisisce nel corso della propria esperienza vitale nozioni differenti, che rimangono latenti e che rappresentano il punto essenziale per una vita vissuta in maniera più sana e serena. La malattia, o, meglio, benettia, predispone alla ricerca di tali nozioni per lo più già apprese in corso d’opera. Sia noto a ciascuno il fatto di poter usare questa “coscienza latente” in qualsivoglia momento di necessità.
Tra le altre cose, è bello che il concetto venga oggi proposto non solo al malato o alla persona che stia passando attraverso un momento delicato, ma anche al personale che attorno all’interessato si trova ad agire, risultando interessato a sua volta.