Perché i “fioretti pasquali” che controllano gli zuccheri fanno dimagrire bene e in fretta
Molte persone, con la volontà di fare un “fioretto”, cioè di offrire un sacrificio personale durante il tempo di Quaresima, rinunciano finalmente agli zuccheri, spesso per la prima volta in assoluto, e si ritrovano a Pasqua con qualche chilo in meno e uno stato di salute migliorato.
Oggi sappiamo che dipende dal controllo della glicazione, che può essere ottenuto anche con meno rigore in tutti gli altri periodi dell’anno.
Agli inizi della mia carriera professionale ricordo in particolare una persona con la quale avevo sudato le proverbiali “sette camicie” per aiutarla a riconquistare il peso forma. I successi ottenuti nel corso di un anno erano evidenti, ma non raggiungevano i livelli che io mi sarei aspettato e che quella persona avrebbe voluto.
La incontrai un po’ prima di Carnevale e fissammo il successivo incontro clinico nei giorni successivi alla Pasqua.
Quando la vidi misurammo finalmente insieme un notevole calo di massa grassa (con relativo recupero di massa muscolare) di quasi 5 chili. Mi disse che non aveva fatto nient’altro che seguire le indicazioni che le avevo sempre dato, ma smettendo completamente di mangiare dolci perché aveva fatto un “fioretto” per un problema di salute di un parente molto caro.
Ricordo con molta emozione quel momento perché ripercorrendo il suo diario alimentare emersero piccole e solo apparentemente insignificanti assunzioni di zucchero, ma ripetute sistematicamente.
La puntina di cucchiaino nel caffè (numerosi al giorno), spesso accompagnata da un angolino di biscotto secco (“quelli che non hanno dentro nulla, dottore…“) e un sorsino di soft drink “rubato” ai figli, comparivano praticamente ogni giorno. Si trattava di zuccheri che non erano mai stati comunicati nei nostri colloqui, perché “i dolci” erano considerati solo quelli presenti in modo consistente, come le brioche mangiate al mattino o le torte comprate nel week end, che erano stati ben riposizionati nel programma nutrizionale della settimana.
In pratica, per la prima volta nella vita di quella persona, a causa di una scelta religiosa ben motivata, l’analisi del contenuto zuccherino comprendeva l’ammissione anche con se stessa di una serie di assunzioni minimali ma quotidiane. Si trattava di quantità risibili sul piano calorico, ma fortemente segnaletiche per l’organismo.
Le giornate si allungano: sfruttare il vantaggio di questo momento dell'anno per dimagrire meglio
Le motivazioni di autocensura imposte dalla scelta religiosa portarono quella persona anche a limitare di molto l’assunzione compensativa di frutta. Mi disse che le era chiaro che la frutta fosse dolce e si limitò quindi ad assumere 2-3 frutti al giorno evitando le quantità ben più elevate che usava precedentemente, portandola anche a sostituire in molti casi la frutta con verdura fresca.
La ricordo con gratitudine, perché quella persona stimolò in me la prima vera riflessione sul fatto che l’organismo riceveva segnali ben diversi da quelli delle calorie.
Nella testa di quella persona le poche calorie mangiate con “solo mezzo cucchiaino di zucchero” erano insignificanti, ma per l’equilibrio dell’organismo, adattato a ricevere segnali sul cibo da milioni di anni, quelle poche calorie dolci avevano un valore immenso e mantenevano stimolato un meccanismo metabolico che porta da millenni a ricercare altro zucchero e a trasformare le calorie introdotte anche con gli altri alimenti in accumulo di grasso.
Inoltre il periodo quaresimale corrisponde al periodo in cui si allungano le giornate, e la luce del sole dura più a lungo; quel “fioretto” capitava anche nel momento più propizio. Come ho scritto in un articolo di Eurosalus, chi intende perdere peso può sfruttare al meglio questo periodo in cui l’orologio biologico è in grado, più che in altri momenti dell’anno, di attivare lo stimolo del metabolismo.
Negli ultimi anni si è finalmente capito che un fenomeno provocato dalla ingestione di zuccheri (glucosio o fruttosio che sia), la cosiddetta glicazione, può provocare infiammazione dell’intero organismo e con essa causare, a cascata, una modifica del metabolismo.
Fin dal 2009, infatti, si sono capiti gli effetti dell’infiammazione sulla resistenza insulinica e alcuni autori specificano che una citochina infiammatoria, che da anni misuriamo con test specifici, appunto il BAFF, rappresenta il legame diretto tra infiammazione e obesità.
Una infiammazione da cibo, dovuta alla ripetizione sistematica della introduzione di un alimento o di un gruppo alimentare, può quindi aumentare ancora di più gli effetti deleteri della assunzione ripetitiva di zuccheri.
Continuiamo a sostenere l’utilità e il piacere correlati all’uso occasionale del dolce, ma la sua ripetizione sistematica rientra invece tra le cose da controllare per il proprio benessere.
Quando si deve regolare l’assunzione di fruttosio, si riduce, senza mai eliminare, la frutta fresca, ma vanno eliminate le altre forme di fruttosio, come la marmellata, il vino, le spremute o i succhi.
È già possibile misurare alcuni degli effetti dannosi della assunzione ripetuta di zuccheri, che vanno al di là della sola induzione di diabete, e sono disponibili strumenti di misurazione precisi e personalizzati per capire individualmente quale sia la relazione con i diversi tipi di zuccheri della dieta che sono di aiuto per la precisazione nutrizionale di ogni persona.
Nel mio libro dal titolo “Le intolleranze alimentari non esistono. La relazione infiammatoria tra cibo e salute finalmente spiegata in modo scientifico” (edito da LSWR) per la prima volta, al suo interno, viene discussa l’interazione complessiva tra i tre tipi di infiammazione da cibo oggi conosciuti.
Penso con affetto al caso della signora Gisella descritta in questo articolo, e al fatto che abbia perso improvvisamente massa grassa non nel momento in cui ha ridotto le calorie, ma nel momento in cui ha potuto escludere l’uso delle sostanze dolci dalla sua alimentazione per qualche settimana.
Il corretto approccio scientifico e la valutazione di quanto accaduto in termini quantitativi, ha stimolato l’origine di un pensiero che poi la scienza ha confermato negli anni con dati sempre più precisi.
Per questo motivo, quando nel nostro centro ci occupiamo del sovrappeso o del diabete, valutiamo sempre ogni soggetto secondo un criterio personalizzato che comprenda la conoscenza delle citochine infiammatorie, del profilo alimentare personale, dei prodotti di glicazione e talvolta anche della predisposizione genetica.
Oggi infatti, per raggiungere la propria migliore forma possibile, è utile capire quali siano i livelli infiammatori dell’organismo correlati al cibo e quali siano i comportamenti da modificare e valorizzare.
Spesso, il rapporto con la dolcificazione e con gli zuccheri ha una importanza immensa e il suo studio contribuisce alla definizione del percorso migliore per tornare in forma e in buona salute.