Salute e bike-sharing
L’iniziativa francese ha conquistato prima di tutto gli ecologisti, poi, alla prova dei fatti, gli utenti, che si sono dimostrati contentissimi del servizio. In Italia, in testa Mantova, le biciclette vengono si utilizzate, ma ancora relativamente poco con i sistemi di bike-sharing. Culla della sperimentazione è Bari, che, visto il grande successo della “biciclettizazione” del centro storico prevede addrittura un aumento del parco mezzi per l’anno che viene, trattandosi comunque di numeri ridicoli rispetto alla vera e propria rivoluzione avvenuta in Francia.
Ma come funziona il bike sharing? Semplice: sia in Italia che all’estero bisogna comprare una tessera magnetica prepagata (un abbonamento) in Comune o negli uffici abilitati al servizio, ritirare il mezzo pubblico (con la tessera) dalle rastrelliere apposite, pedalare a piacimento per la città, per andare in ufficio, ma anche a spasso, e riconsegnare in una rastrelliera qualsiasi la bicicletta, senza obbligo di tornare la punto di partenza. Il prezzo dell’abbonamento annuale, in Italia, si aggira attorno ai 30 €, all’incirca, ed è quindi facilmente sostenibile.
La fame di due ruote per gli spostamenti urbani, che, oltre ad essere esenti dal traffico sono anche molto economiche da gestire (furti e guasti esclusi), ha contagiato molte personalità di spicco della musica, ma anche dell’ imprenditoria italiana: Jovanotti, con la sua bici da corsa, Luca Toni, che sceglie il mezzo per le proprie passeggiate, ma anche Matteo Marzotto e Federica Panicucci preferiscono la “dueruote” per andare al lavoro oppure per portare a spasso i figli e non è da meno l’attrice Olivia Magnani (“Le conseguenze dell’amore”, Paolo Sorrentino, 2004)
Grazie alle regioni “piatte” come l’Emilia Romagna, in media un italiano percorre in bicicletta circa 160 km all’anno, collocandosi al di sopra della media europea di 125 km pro capite. Ma è bene ricordare che un olandese ne percorre circa 1020 e un danese medio 958. La bicicletta svolge un ruolo importante nel mantenimento della forma fisica, consentendo l’applicazione costante di un esercizio aerobico, attivando la circolazione negli arti inferiori e rafforzando la muscolatura delle gambe. In generale una pedalata al giorno, se protratta per un certo lasso di tempo (almeno 10 minuti), mantiene in salute allontanando il rischio di patologie come l’obesità o, per le donne, il cancro al seno.
Se poi una persona ha voglia e tempo di cimentarsi in pedalate serali, quando la stagione lo permetta, ancora meglio. In generale sarebbe importante arrivare almeno a 20-25 minuti al giorno di movimento, in maniera tale da avere effetti benefici forti sulla propria salute e sul mantenimento della forma fisica. Il movimento (in generale, ma anche in bicicletta), infine, facilita l’ormai nota liberazione di endorfine, che agiscono positivamente nel mantenimento del buon umore.
Certo, pensando ad una persona che vive a Milano e che usa la propria bike per andare al lavoro viene da pensare che gli effetti positivi del movimento vengano negativamente compensati dallo smog che si respira e dal traffico delle arterie cittadine, senza tenere conto del pericolo di incidenti, preoccupazione principale di ogni biker urbano che si rispetti. Quindi il movimento in bicicletta fatto in città va bene, ma con il casco in testa “ben allacciato”, parafrasando un famosissimo ex motociclista, e magari con una mascherina protettiva dallo smog. Niente paura per l’estetica, in commercio ci sono prodotti, per esempio i caschetti, che a prezzi irrisori garantiscono un design accattivante e un facile abbinamento a qualsiasi completo dirigenziale (Matteo Marzotto docet).
E poi la bici è economica, non c’è l’assicurazione, non c’è il bollo e nemmeno la benzina da fare. Quindi anche dal punto di vista economico la bicicletta ha una sua positività, misurabile concretamente osservando un più lento sgonfiarsi del portafogli.
Nel nostro paese, nel ciclo extraurbano della circolazione, le piste ciclabili sono cresciute nel giro di sette anni (dal 2000 al 2007) di oltre il quadruplo. Discorso simile, anche se più contenuto, vale per il ciclo urbano (da 2000 a 4000 km disponibili). Purtroppo, secondo dati forniti da repubblica.it, ad un aumento del chiamiamolo “terreno” ciclabile non sono altrettanto cresciuti gli spostamenti. Non c’è da stupirsene, una rivoluzione su due ruote, da noi, si scontra con inveterate abitudini “poltronifere” e sedentarie, oltre che con un codice della strada che premia indiscutibilmente l’automobilista: chi ha paura ad usare la bicicletta per percorrere le vie della propria città non è un pazzo.
Paolo Garimberti di Repubblica tiene una interessante rubrica a riguardo della “vita del cicloamatore” nella metropoli milanese sullo spazio dedicato dal giornale su cui scrive alla cronaca del capoluogo lombardo. Spesso racconta di liti, di precedenze mancate da parte di automobilisti con il Suv (Sport Utility Vehicle, i “bestioni”), di vaffa, di dita medie alzate e di gesti dell’ombrello, di madonne e di santi che volano, di ciclisti espulsi sia dai pedonalissimi marciapiedi che dalle carreggiate. Insomma, bella la bicicletta, belle le iniziative di bike sharing, ma con un occhio alla realtà delle cose.
Se uno deve dormire con il patema d’animo perché il giorno appresso deve fare l’esperienza di andare al lavoro in bicicletta, va compreso anche se l’indomani prenderà l’auto o i mezzi pubblici, attraversando la città tranquillo. Dovesse capitare di cozzare, in auto o sul bus, si spera che la lamiera attutisca il colpo. Si spera, almeno.
L’Italia, a dirla tutta, è partita prima della maggioranza delle città europee nel progetto di bike sharing, ma non ha mai preso quota relativamente ai numeri di utilizzo delle biciclette comunali, collocandosi fra i fanalini di coda del continente. Bravi loro o polli noialtri?