La Francia e il nucleare che fa di nuovo paura
Tante volte ci siamo sentiti dire “non ha senso fermare lo sviluppo del nucleare in Italia visto che abbiamo le centrali nei paesi di confine”. Oggi è il caso di dire con forza che si deve uscire anche lì dal nucleare, dai suoi limiti irrisolti, tanto sulla sicurezza degli impianti, quanto nella gestione e trattazione delle scorie.
È il colosso francese del nucleare Areva ad essere chiamato in causa a casa propria, declassato da Standard and Poor’s anche a seguito del contenzioso apertosi in Finlandia per le “non conformità” rilevate dall’Autorità di Sicurezza Nucleare finlandese nell’impianto di Olkiluoto.
Le particelle immesse nell’atmosfera dalle centrali danneggiate possono essere trasportate a distanza. La propagazione delle particelle è strettamente legata alle condizioni atmosferiche presenti in loco. Direzione e intensità del vento alle diverse quote andranno a condizionare concentrazione e destinazione delle particelle. Pioggia o neve faranno precipitare al suolo le sostanze radioattive. Se i rilevamenti a seguito di Fukushima ci avevano già preoccupato, ma la distanza era di 20.000 Km, ora chi può sottovalutare o rimuovere una esplosione a poche centinaia di chilometri di distanza dal triangolo industriale italiano?
Il decreto del marzo 2010 contiene il piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche e prevede delle misure d’urgenza in caso di rischio nucleare. Il piano nazionale fa riferimento a eventuali incidenti alla centrale di St. Alban in Francia e alla centrale di Kràko in Slovenia, centrale appena riavviata dopo che il 23 marzo era stata fermata per problemi tecnici e di sicurezza. Eventuali incidenti in queste due centrali nucleari di confine potrebbero interessare la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Liguria, parte della Lombardia, parte dell’Emilia-Romagna e dall’altro lato il Friuli, la Venezia Giulia e parte del Veneto e dell’Emilia Romagna per il possibile interessamento dell’area del delta padanotra Rovigo e Ferrara.
Ci viene comunicato che il Dipartimento della Protezione civile è in contatto con l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e con i vigili del fuoco per monitorare e verificare gli eventuali rischi per l’Italia dopo l’esplosione che si è verificata nel centro di trattamento delle scorie nucleari del sito di Marcoule, nel sud della Francia. Secondo il protocollo è l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che attiva le singole agenzie sul territorio italiano, ARPA. Non essendo un reattore ad essere esploso, ma un forno, è stato comunicato che non ci dovrebbe essere pericolo grave di fuga.
In Italia, a seguito dell’arrivo delle correnti contenenti rilascio di radioattività provenienti dal Giappone, l’Ispra ha richiesto sin dal 12 marzo 2011 rilevazioni giornaliere con particolare riguardo alla presenza degli isotopi Cesio 137 e Iodio 131 nell’atmosfera a tutta le Arpa. Inoltre, è stato anche richiesto di effettuare misure di deposizione al suolo con cadenza settimanale.
Dovremmo essere tranquilli perché monitorati, dunque? No quanto è recentemente accaduto a seguito del disastro di Fukushima non ci consentono alcuna tranquillità. Dalla home page del sito del ministero della salute, nella parte in evidenza dedicata alla rassicurazione ai cittadini relativamente alla crisi nucleare giapponese era possibile raggiungere alcune pagine che contenevano le indicazioni del decreto del marzo 2010 per la distribuzione territoriale della dose equivalente alla tiroide di iodio stabile (ioduro di potassio) affinché venisse somministrato prima dell’esposizione al rilascio radioattivo laddove si fosse verificato l’arrivo della nube radioattiva. Pagine poi scomparse non certo ad opera di qualche hacker.
Così anche oggi il sito dell’ISPRA non fornisce le informazioni relative ai dati rilevati dal monitoraggio quotidiano dei radionuclidi.
Non possiamo trascurare che le emissioni nucleari nell’atmosfera sono, per la nostra aspettativa di vita, a carattere permanente e si sommano, incidente dopo incidente. Essere informati sullo stato delle cose è una condizione preliminare necessaria per ogni decisione pubblica. Non possiamo accettare che singole affermazioni di premier europei facciano saltare le borse mentre una esplosione nel ciclo del materiale radioattivo di un paese europeo possa essere considerata una questione interna.
Gli italiani hanno detto chiaramente che vogliono una alternativa al nucleare e con la grande partecipazione all’inusuale referendum estivo, hanno detto che vogliono saperne di più a riguardo, a partire dai problemi e dagli incidenti. Hanno cercato queste informazioni in rete perché il sistema pubblico radiotelevisivo le ometteva o le filtrava. Abbiamo bisogno di verità, in particolare laddove la relazione tra l‘azione umana con la tecnica e gli elementi naturali ampliano il margine di imponderabilità del quale tenere conto.
La trasparenza sui dati e la possibilità di avere pieno accesso alle informazioni è un diritto che non può essere ignorato per le ragioni di sicurezza legate alla produzione e trattazione del plutonio, usato per le bombe nucleari a fissione. Ragioni che hanno giustificato la militarizzazione dei territori che ospitano le centrali, così come la gestione delle informazioni che le riguardavano, incidenti compresi.