Allergia e stress emotivo: legami certi per un mondo ancora tutto da scoprire
Per anni ci siamo sentiti raccontare che la valutazione delle Immunoglobuline E, quelle che causano le reazioni allergiche classiche, dal raffreddore da fieno all’asma, fino al grave shock anafilattico, consente di definire con precisione la condizione “fisica” di una persona, escludendo fenomeni psicologici o emotivi alla loro base.
Insomma, si è sempre detto, se una persona ha le quel tipo di Immunoglobuline (le IgE, quelle evidenziate dai “graffietti sul braccio” cioè i Prick test o dai RAST) per un polline, un cibo o una sostanza non può “raccontarla su…”. Ce le ha e basta. Se ne deve tenere conto perché si tratta di un problema “reale” e non certo immaginario come per anni molte forme di allergia, di ipersensibilità o di infiammazione da cibo sono state considerate.
Invece da qualche giorno, uno studio effettuato da un team di allergologi, psichiatri e virologi di diverse università statunitensi, pubblicato sugli Annals of Allergy, Asthma & Immunology, ha confermato quello che da molti anni anche la nostra illustre premio Nobel, Rita Levi Montalcini, sosteneva con precisione (Heffner KL et al, Ann Allergy Asthma Immunol. 2014 Apr 10. pii: S1081-1206(14)00192-6. doi: 10.1016/j.anai.2014.03.008. [Epub ahead of print]).
Mi piace ricordare che sono cresciuto in un ambiente di formazione medica in cui mio padre sosteneva questo legame e questo aspetto già diversi anni prima, quando ancora non si vedevano i legami tra sistema nervoso e sistema immunitario.
La situazione psicoemotiva legata a condizioni di allarme, preoccupazione e ansia, è elemento sufficiente (e io sostengo che sia addirittura necessario) per attivare anche la risposta legata alle IgE oltre che attivare una serie di risposte di adattamento immunologico di tutto l’organismo.
Il cambiamento delle IgE può essere molto rapido, quasi immediato, come ci si aspetterebbe da un sistema biologico che è passato attraverso milioni di anni di evoluzione. E in effetti avviene esattamente questo.
Gli allergologi hanno considerato per anni le IgE valori di difficile cambiamento, mentre il lavoro di questo team americano chiarisce che probabilmente il valore assoluto di IgE può anche restare elevato, ma di certo la loro attività cambia. Non sono più IgE ad alta affinità (che generano reazione, rinite, orticaria, shock) e diventano probabilmente IgE a bassa affinità, ancora presenti nell’organismo ma innocue.
Può significare che l’organismo è sempre in grado di attivare un interruttore, una citochina o un neurotrasmettitore capace di disattivare (o attivare, all’opposto) la reazione delle IgE.
Come dire che la soluzione di qualsiasi problema allergologico non è più legata alla sostanza allergizzante e alle IgE. Un terzo ingrediente (personale, legato alla psiche) entra prepotentemente in gioco e diventa possibile strumento di vera guarigione.
I ricercatori statunitensi hanno usato uno schema molto semplice, applicato alla rinite allergica. Persone con rinite allergica ben conosciuta, hanno effettuato i prick test (i “graffietti” sul braccio usati per la valutazione delle IgE per i pollini), e sono poi state sottoposte ad una prova di stress emotivo validata, rieffettuando i “graffietti” dopo la prova.
In modo significativo, i valori di reazione cutanea sono cambiati in relazione alla prova stessa, evidenziando un cambiamento più elevato nelle persone maggiormente sofferenti per la prova da stress.
È molto interessante notare che questo non avviene per i prick legati all’istamina (quelli di controllo), che rimangono immodificati. Il vero cambiamento avviene sulla maggiore o minore attivazione della risposta delle IgE, a testimoniare la possibilità dell’organismo di attivare o silenziare delle risposte in relazione alla condizione psicoemotiva. In modo rapido e non farmacologico.
Nel nostro centro noi siamo abituati da anni a trattare le patologie allergiche attraverso percorsi terapeutici specifici che tengono sempre conto della componente alimentare e dell’infiammazione da cibo, della effettiva presenza delle IgE e anche ovviamente della componente individuale di tipo emotivo. Una visione integrata che consente spesso di portare verso la guarigione situazioni cliniche di persone considerate solo “curabili” con sintomatici.
C’è quindi ancora molta strada da fare per la scienza, anche se ogni singolo apporto o pezzettino chiarito in questa direzione contribuisce ad una visione globale e a un progetto sul futuro in cui ogni persona sia fatta di carne e di cuore e non solo da anticorpi freddamente misurabili.