Secondo parere sì, e poi?
DOMANDA
Buongiorno, per un problema legato all’ipertensione, mi trovo a dover prendere una decisione importante per la mia salute. Il mio medico di base sostiene che sarebbe sufficiente qualche cambiamento nello stile di vita e un diuretico, mentre uno specialista mi ha prospettato un quadro abbastanza minaccioso e vorrebbe farmi prendere un mix di farmaci per un tempo indefinito (forse per tutta la vita?). Sul vostro sito, inoltre ho letto informazioni sui farmaci antiipertensivi che mi hanno un po’ spaventato. Sarei quindi tentato di affidarmi al mio medico, ma sono preoccupato perché so che un mio nonno è morto d’infarto e uno zio è rimasto per sempre segnato da un ictus. Ho pensato di consultare un altro medico, ma ho già avuto due pareri (basati su diversi esami) e temo che dopo il terzo vorrei sentirne un quarto. Insomma, potrei andare avanti all’infinito. Non so che strada prendere e le chiedo: come si esce da una situazione di stallo come questa? Ugo
RISPOSTA
Se un secondo parere aiuta quasi sempre ad ampliare la prospettiva, chiedere una terza opinione può essere utile in alcuni casi, e una totale perdita di tempo in altri.
Molti di noi riescono a curarsi da soli nella maggior parte dei casi, ma davanti a una patologia grave, alla necessità di un intervento chirurgico, a un disturbo subdolamente minaccioso come l’ipertensione, occorre trovare il coraggio di affidarci a un esperto, e lasciare a lui (o a lei) la decisione finale. Ma non sempre è facile.
Per questo è utile trovare un medico di fiducia quando stiamo bene.
Ognuno ha i suoi parametri per scegliere la persona giusta alla quale affidarsi: per alcuni è il centro specialistico più accreditato dal SSN, per altri il medico che ha tirato fuori dai guai un amico che non era riuscito a guarire benché curato dai migliori specialisti del campo, per altri ancora deve essere una persona che abbia un orientamento terapeutico di carattere olistico e così via. Magari non è il più simpatico, però è sicuramente quello che riesce a placare i nostri dubbi con risposte accurate.
In genere, di fronte a un problema serio che non implichi un’emergenza, vale la pena di cominciare con la terapia meno invasiva – nel suo caso, per esempio, quella suggerita dal medico di base, o un approccio naturale che comprenda tutti gli interventi sullo stile di vita che può trovare descritti su Eurosalus, ma sotto la supervisione di un medico esperto – per poi passare a una terapia farmacologica più impegnativa se non si ottengono i risultati desiderati.
In fondo è quello che quasi tutti facciamo quando abbiamo l’influenza, ma anche, in situazioni più problematiche, quando ci viene prospettato un intervento chirurgico.
In certi casi, però, fidarsi è difficile. Magari perché abbiamo visto morire una persona cara con una patologia simile, perché abbiamo una difficoltà esistenziale ad affidarci a qualcuno diverso da noi stessi, o anche solo per aver letto su internet cose delle quali il nostro medico di fiducia non sembra al corrente.
In circostanze come queste può essere prezioso l’intervento di un counselor, che aiuti a tenere a bada gli elementi che interferiscono con la scelta da fare (soprattutto quando è urgente) in modo da potersi concentrare sulla questione in primo piano.
Il ruolo del counseling in casi di questo genere ha ricevuto di recente l’attenzione dello IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia, presso il quale è in corso un progetto pilota che prevede l’affiancamento di un counselor all’èquipe medico-infermieristica per i pazienti oncologici, che non di rado si trovano a dover valutare diverse opzioni, alcune delle quali ancora in fase sperimentale. La competenza specifica del counselor, diversa da quella dello psicologo, è mirata in questa, come in altre situazioni, a favorire proprio il processo decisionale della persona coinvolta.