Zuccheri, ovaie e storie femminili
Una ricerca interessante, pubblicata su The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism nell’ottobre del 2021, ha rilevato quanto siano efficaci due dei nuovi prodotti antidiabetici, usati in associazione, nella riduzione del peso in donne con policistosi ovarica (PCO).
È un tema di forte impatto perché questi due tipi di prodotto, gli analoghi del GLP-1 (exenatide, liraglutide, dulaglutide) o gli inibitori del SGLT2 (glifozine come empaglifozin e canaglifozin) sono in realtà dei nuovi prodotti scoperti per controllare il diabete ma grazie alla loro azione sull’equilibrio degli zuccheri stanno evidenziando anche una importante azione dimagrante, tanto che in modo inappropriato molte persone stanno cercando di usare queste sostanze come sostituti di una dieta sana e personalizzata.
L’uso di una sola di queste sostanze porta ad un calo di peso ben misurabile ma modesto, mentre la loro integrazione (cioè l’uso di entrambi i tipi di regolatori zuccherini) porta ad un calo di peso, nelle donne con policistosi ovarica, molto più elevato (perdita del 6,9% del peso) rispetto al calo ottenibile con la singola sostanza (circa 1,6%). Come se le due sostanze avessero tra loro un effetto moltiplicativo che si va ad esprimere con efficacia proprio nelle donne con PCO.
L’interesse di questa ricerca, e la spiegazione di un effetto così importante sul peso, ripropone quanto sia legata agli zuccheri la policistosi ovarica. Già in precedenti articoli pubblicati su Eurosalus abbiamo discusso del significato evoluzionistico della presenza di questa condizione ormonale (“Donne, amazzoni e policistosi ovarica” e “Ovaio policistico: cosa c’entrano le amazzoni”), spiegando che in realtà, più che di una malattia in sé, si tratta di una variante fisiologica che ha consentito, nei millenni passati, di mantenere la fecondità anche in periodi di carestia e di assenza alimentare, quando è noto che una grande percentuale di donne, riducendo il cibo, sospende per un certo periodo l’attività ormonale.
Per chi vuole approfondire, gli analoghi del GLP-1 (Glucagon-like peptide 1) intervengono in modo più duraturo del peptide originale, che entra in azione quando si rileva un eccesso intestinale di zuccheri, contribuendo a facilitare la produzione di insulina, riducendo l’appetito e rallentando lo svuotamento dello stomaco.
Gli inibitori del SGLT2 (CoTrasportatore 2 del Sodio/Glucosio) rallentano invece il riassorbimento renale del glucosio e ne fanno emettere in quantità notevole con le urine, come se “bucassero” il serbatoio dello zucchero impedendone l’utilizzazione.
La PCO è una condizione molto presente nella popolazione ed è quindi tutt’altro che rara, coinvolgendo circa il 10% delle donne in età fertile. Oggi è risaputo che in condizioni alimentari usuali, se improvvisamente una donna perde peso in modo rilevante può arrivare ad un blocco delle mestruazioni. Questo meccanismo è regolato da una condizione genetica che fin dall’antichità, di fronte ad una carestia (e la perdita di peso rilevante ne è una immagine), tende ad evitare la gravidanza come momento di sovraccarico per quel tipo di donna.
Questo 10% di donne, di fronte ad una riduzione dell’alimentazione, arrivano comunque a regolare l’assunzione degli zuccheri e a modulare la resistenza insulinica, oltre che apparire più toniche e magre, facendo ripartire le mestruazioni e tornando fertili. Sono le nonne e bisnonne che nel corso dei millenni hanno potuto aiutare la specie umana a progredire anche nei momenti di carestia, con condizioni fisiche di maggiore positività e di maggiore resistenza.
Probabilmente, quindi, le donne con una policistosi ovarica e con questo tratto genetico riescono a riprodursi più facilmente nei momenti di carestia, che nella storia dell’uomo sono sempre stati maggiori rispetto ai periodi di abbondanza, e non avendo gravidanze nei periodi di regolare assunzione alimentare hanno forse avuto una maggiore possibilità di dedicarsi al combattimento.
Oggi, quindi, il modo migliore per prevenire e curare la policistosi ovarica è quello di seguire una dieta che controlli attentamente, in modo personalizzato, l’infiammazione dovuta agli zuccheri e agli alimenti, integrando in modo adeguato l’attività fisica e il movimento che devono diventare parte integrante della quotidianità per migliorare le resistenza insulinica.
E soprattutto, considerata l’efficacia antidiabetica (e l’elevato costo) di questi farmaci, si deve ricordare che vanno utilizzati per correggere situazioni metaboliche reali e non per cercare il dimagrimento indipendentemente dal cambio di abitudini alimentari.
Questo è uno dei motivi per cui nel centro SMA in cui lavoro, tutto lo staff medico e nutrizionale personalizza comunque i piani dietetici dei nostri pazienti in base ai livelli infiammatori alimentari e a quelli di glicazione individuali, misurabili attraverso i test GEK Lab (come il PerMè test). Che si tratti di policistosi ovarica o di sovrappeso la personalizzazione nutrizionale e la regolazione della glicazione sono elementi fondamentali perché si ottenga una risposta clinica durevole e efficace.