Più faticoso rimuovere o ricordare?
Uno studio pubblicato in gennaio su Science illustra le basi neurofisiologiche della rimozione, il meccanismo di difesa mediante il quale, secondo Freud, releghiamo nell’inconscio ricordi, immagini, pensieri ed emozioni dolorosi o inaccettabili.
Gli autori dello studio (Anderson MC et al. Neural systems underlying the suppression of unwanted memories. Science 2004 Jan 9; 303:232-5), sono andati alla ricerca delle parti del sistema nervoso maggiormente coinvolte nella rimozione dei ricordi indesiderati e sono giunti a un’interessante conclusione.
Ai partecipanti allo studio veniva chiesto di memorizzare alcune coppie di vocaboli. Poi, davanti a una sola parola della coppia memorizzata dovevano o cercare di ricordare l’altra, o sopprimere l’impulso a ricordarla. Durante l’esercizio, i partecipanti venivano sottoposti a risonanza magnetica per visualizzare le aree cerebrali coinvolte nello sforzo.
Il primo risultato emerso è che ricordare le parole “rimosse” era più difficile che ricordare altre parole che non erano oggetto del test, un dato indicativo del fatto che la soppressione del ricordo ostacola la memoria.
Il secondo, spiega in parte il primo: le aree cerebrali attivate dalla soppressione del ricordo sarebbero infatti più numerose di quelle utilizzate per richiamare un dato alla memoria(per l’indicazione delle aree cerebrali, vedi il riassunto dello studio al link precedente). La soppressione riduceva anche l’attivazione bilaterale dell’ippocampo, che partecipa al consolidamento dei ricordi.
Scoprire che numerose aree cerebrali prefrontali sono più attive nella soppressione che nel ricordo supporta l’ipotesi che la soppressione riguardi attivamente alcune regioni cerebrali di grande importanza per il funzionamento esecutivo. Ma soprattutto dà ragione del fatto che la rimozione è molto faticosa e ricollegabile a un forte impegno mentale.
Come sa bene chi, nel corso di una psicoterapia, scopre la leggerezza che si ottiene liberando ricordi, anche traumatici, che aveva tenuto a lungo sepolti nel proprio inconscio (in proposito, vedi anche sul nostro sito gli articoli Freud aveva ragione. La rimozione della memoria ha basi scientifiche e Imparare dal nostro lato oscuro).
Risultati come questi rappresentano certamente i primi passi nello sviluppo di un modello neurobiologico del controllo della memoria, ma la loro rilevanza va ricercata nel fatto di cominciare a comprendere quali siano (anche sul piano fisiologico) le risposte di adattamento dell’essere umano di fronte alle esperienze traumatiche che spesso ne segnano l’esistenza.