La “dolce” osteoporosi. Quando lo zucchero indebolisce le ossa
Tutto il gruppo di ricerca di GEK Lab è sempre molto attento alle novità scientifiche che legano le malattie più diffuse al modo in cui le persone si nutrono.
Capire il legame tra ciò che si mangia e lo sviluppo di una malattia aiuta ogni persona a mettere in atto quei percorsi personalizzati alimentari adatti a riprendere in mano il proprio destino e a non vivere più il disturbo o la condizione patologica come una sfortuna.
In particolare, ovviamente, il nostro gruppo segue con particolare attenzione gli effetti della glicazione sui disturbi cronici e ci ha colpito molto una ricerca interessante pubblicata sul Missouri Medicine e svolta da ricercatori della Mount Sinai University di New York e dal Mid America Heart Institute di Kansas City (Missouri).
La ricerca spiega che sia i cibi salati (e questo lo si sapeva già) sia i cibi dolci (e questa è una novità di fortissimo rilievo) facilitano l’osteoporosi e contribuiscono a ridurre la solidità delle ossa.
I cibi ricchi di sodio (formaggi, salumi, pane, cracker, grissini, salse, eccetera) facilitano l’eliminazione del calcio dalle ossa per una precisa azione di bilanciamento biochimico tra i due elementi.
Nel caso dei formaggi, ovviamente, il problema si pone in modo meno intenso, perché forniscono un apporto calcico decisamente elevato e riescono, di solito, a bilanciare efficacemente la perdita di calcio osseo che possono indurre.
Lo stesso ovviamente non si può dire per pane, salumi, salsa di soia, cracker e altri cibi ad alto contenuto di sodio.
Le nuove linee guida sull'osteoporosi aiutano a non sentirsi osteoporotici quando si è sani
La ricerca però, descrive con molta attenzione anche il fatto che l’assunzione di zucchero e l’infiammazione che ne può derivare agiscono sull’osso addirittura con un doppio meccanismo. Aumentano l’escrezione di calcio e contemporaneamente riducono i livelli della forma attiva di vitamina D3.
Purtroppo, come abbiamo già spiegato in molti articoli sulla glicazione e sugli zuccheri invisibili e nascosti, anche il fruttosio (quindi anche la frutta, se in eccesso) e le sostanze che seguono la stessa via metabolica (come l’alcol e i polioli) possono determinare lo stesso danno.
La situazione, per gli zuccheri, si complica un po’ di più perché la perdita immediata di calcio, misurata sul momento della assunzione di un certo quantitativo di zucchero, non si esaurisce (come per il sale) nel volgere di poche ore, ma prosegue in modo deciso anche nei giorni successivi, e l’effetto zuccherino, oltre che aumentare l’escrezione di calcio, facilita anche la contemporanea eliminazione di magnesio.
L’osso è uno dei tessuti più “dinamici” che ci siano, pur a fronte della apparente stabilità strutturale. Osteoblasti (che stimolano la deposizione di calcio) e osteoclasti (che invece lo eliminano) si confrontano sistematicamente in un equilibrio che ho appena definito, appunto, “molto dinamico”.
È bene ricordare che l’infiammazione dovuta agli alimenti porta a una elevata produzione di BAFF e che questa citochina infiammatoria osteoclastica stimola fortemente la rimozione del calcio dalle ossa e facilita l’osteoporosi.
Conoscere quindi i propri livelli di glicazione e i propri livelli di infiammazione alimentare (test GEK Lab) consente di definire un piano nutrizionale personalizzato che guidi e supporti il mantenimento della salute dell’osso.
L’introduzione di calcio non avviene solo attraverso l’assunzione alimentare di latticini. Acque minerali, pesce, cereali, mandorle, nocciole e molte verdure hanno un contenuto calcico decisamente sufficiente a raggiungere i fabbisogni quotidiani. Nel nostro centro siamo decisamente abituati a misurare, quando serve.
Oltre che compensare sempre eventuali carenze di vitamina D3, capita spesso che le nutrizioniste del centro SMA in cui lavoro debbano rilasciare, per i medici che seguono insieme a noi i pazienti in cura, il calcolo di assunzione calcica per pazienti cui sia stato suggerito di mangiare i latticini a rotazione.
Raggiungere i 1000 mg al giorno di calcio è più facile di quanto si pensi. La varietà alimentare consente infatti sempre di raggiungere i livelli di calcio necessari senza per forza rimpinzarsi di yogurt o formaggini.
Pongo però una domanda precisa. Ha senso introdurre integrazioni di calcio e vitamina D3 in modo elevato, rincorrendo eventuali carenze, se una persona sta continuando a mantenere livelli di glicazione elevati o se la ripetizione alimentare porta ad un incremento del BAFF?
Rispondo dicendo che ormai si sta capendo che l’alimentazione personalizzata è importante e che si può arrivare ad una medicina di precisione attraverso la misurazione dei biomarcatori alimentari oggi sempre più disponibili. Su queste basi si possono sia integrare in modo efficace eventuali carenze, sia guidare l’alimentazione in modo personalizzato per ridurre lo stimolo al riassorbimento osseo.
Il test PerMè, ad esempio, consente di conoscere i livelli di glicazione, i livelli di infiammazione alimentare, la eventuale predisposizione genetica alle malattie metaboliche più diffuse e il profilo alimentare individuale che consente di definire il proprio percorso di guarigione.
Sul sito di GEK Lab potete trovare un questionario che può aiutarvi a capire, rispondendo a qualche domanda, se esiste una possibile condizione infiammatoria nutrizionale e su come eventualmente affrontare questo stato.