Le nuove linee guida sull’osteoporosi aiutano a non sentirsi osteoporotici quando si è sani
Quante persone entrano in studio con la convinzione di avere l’osteoporosi e di potersi “rompere” da un momento all’altro…
Per anni ho dovuto spiegare a lungo che la MOC descrive due risultati diversi (T-score e Z-score) e che la stessa MOC ha indicato una possibile fragilità ossea confrontando le persone che la facevano (magari donne di 70 anni) con il T-score, punteggio riferito a giovani di 20 anni (che io spesso chiamo i “giovani paracadutisti della Folgore“) anziché con lo Z-score (punteggio delle persone dello stesso sesso e coetanee sane).
La differenza è immensa. Mentre fino ai 30 anni i due valori coincidono, andando avanti nel tempo il valore dello Z-score di riferimento cala, perché l’osso perde un po’ della propria durezza andando avanti negli anni, restando comunque solido ed efficiente. Eppure negli ultimi 10 anni le indicazioni relative allo Z-score venivano dichiarate “inutili”, al punto che donne sanissime si trovavano addosso una diagnosi di “osteopenia” (non è una malattia, vuol solo dire che l’osso è meno duro) e una specie di “maledizione scritta” che suonava come “rischio di frattura aumentato”.
Invece alcuni stati, come la Svezia e la Turchia, hanno da sempre considerato solo lo Z-score, quello confrontato con le donne sane e della stessa età, proponendo il trattamento farmacologico nel solo caso in cui i valori individuali fossero davvero al di sotto di questo valore. Prescrivere trattamenti medici sulla base del T-score fa prescrivere farmaci a moltissime persone in più di quelle che ne avrebbero bisogno.
Le nuove linee guida statunitensi, che la importantissima ACP (American College of Phisicians, Associazione dei Medici Americani) ha pubblicato nel maggio 2017 sugli Annals of Internal Medicine, sono proposte dopo una attenta revisione della letteratura pubblicata fino al 2011 con aggiornamenti fino a ottobre 2016.
Il documento è arrivato dopo quasi 10 anni dalla precedente versione del 2008 e analizza rischi e benefici di trattamenti farmacologici a lungo e breve termine, incluse prescrizioni di farmaci, calcio, vitamina D e ormoni (Qaseem A et al, Ann Intern Med. 2017 May 9. doi: 10.7326/M15-1361. [Epub ahead of print]).
Si tratta di un documento completo ed esauriente, che discute anche dei rischi connessi con l’uso di molti dei farmaci usati per il trattamento dell’osteoporosi.
Presenta alcuni punti controversi, come quello della inutilità della ripetizione della MOC per i 5 anni del trattamento farmacologico; questo sembra più una tutela per le case farmaceutiche che un suggerimento di salute, perché spesso la MOC non cambia anche sotto terapia e sembra mirato ad evitare discussioni sulla utilità del farmaco.
I dati positivi, sono sicuramente una descrizione ampia della diagnosi di osteoporosi che richiama quello che dovrebbe realmente essere: la MOC non rappresenta “la diagnosi”. La vera diagnosi di osteoporosi si basa sulla fragilità ossea e sulla storia clinica.
I fattori di rischio per le fratture da osteoporosi sono diversi e comprendono età avanzata, storia di fratture gravi nei propri parenti, precedenti fratture vertebrali, precedenti fratture da traumi minimi, fumo, artrite reumatoide, eccessivo uso di alcolici, bassi livelli di vitamina D3, immobilità forzata, trattamenti farmacologici a base di cortisonici, anticoagulanti, alcuni antitumorali o inibitori ormonali e finalmente ANCHE bassi livelli di durezza ossea (misurata con la MOC).
La diagnosi di osteoporosi può essere aiutata dalla MOC, ma non è espressa dalla MOC. Vanno valutati tutti questi fattori e in assenza di particolari condizioni, in persone che ad esempio fanno attività fisica e si nutrono bene, anche un valore di MOC ai limiti inferiori deve rendere cauti, ma non certo indurre al trattamento, come spesso viene fatto.
Nell’articolo originale viene detto con molta chiarezza che l’osteoporosi può essere diagnosticata in base alle fratture da fragilità ossea. In pazienti che non presentano fragilità (dedotta dai fattori di rischio appena elencati) l’osteoporosi è diagnosticata sulla base di un basso livello di densità ossea (BMD, Bone Mineral Density).
Oltre alla valutazione del T-score, quando si parla di diagnosi, le linee guida dicono che si può usare il criterio di una riduzione di 2,5 SD o più rispetto alla persona giovane (T-score), ma che la densità ossea può essere classificata anche in accordo con lo Z-score, che non deve essere minore di 2 SD e la persona cui ci si riferisce va descritta con unabassa densità ossea rispetto all’età cronologica, mentre quelli che hanno una densità maggiore devono essere descritti come “all’interno del valore atteso per l’età”.
Qui sotto, in corsivo, riporto la frase originale con la sua citazione bibliografica, perché temo che prima di ritrovarla scritta sulle MOC italiane passerà molto tempo.
Bone density can also be classified according to the Z-score, the number of SD above or below the expected BMD for the patient’s age and sex. A Z score of –2.0 or lower is defined as either “low BMD for chronological age” or “below the expected range for age,” and those above –2.0 are “within the expected range for age” (Crandall C et al., Treatment to Prevent Fractures in Men and Women with Low Bone Density or Osteoporosis: Update of a 2007 Report. Comparative Effectiveness Review no. 53. Prepared by the Southern California Evidence-based Practice Center under contract no. HHSA-290-2007-10062-I. Rockville, MD: Agency for Healthcare Research and Quality; March 2012).
Quindi oggi si ritorna (per chi vuole essere sempre aggiornato) ad una indicazione che era già presente 15 anni fa e che è gradualmente scomparsa dai referti. L’osteoporosi si affronta con una corretta diagnosi e usando quindi anche la MOC in modo corretto e non solo teso alla prescrizione farmacologica, cambiando degli stili di vita e delle modalità alimentari.
Trovo insensato che donne che fumano in modo intenso, non introducono la giusta quantità di proteine e di sali minerali nella loro alimentazione e non fanno attività fisica cerchino “strade alternative” per migliorare l’osso.
Vale la pena ricordare che l’infiammazione da cibo e la produzione di BAFF sono tra gli elementi che possono stimolare l’attivazione degli osteoclasti, cioè di quelle cellule che “sciolgono” l’osso anziché rafforzarlo, come descritto e pubblicato su Bone già nel 2011 da un gruppo di ricercatori dell’Università inglese di Oxford (Hemingway F et al, Bone. 2011 Apr 1;48(4):938-44. doi: 10.1016/j.bone.2010.12.023. Epub 2010 Dec 28).
Da anni noi lavoriamo nel nostro centro per controllare gli eccessi di BAFF attraverso protocolli terapeutici specifici rivolti anche all’osteoporosi e la ricerca scientifica recente ha permesso di capire che l’alimentazione ha un rilievo potente nel modulare l’aspetto infiammatorio, agendo anche sullo stimolo per mantenere una muscolatura tonica e un osso solido.