Rapporto stretto tra cibi salati e dermatite atopica. Ogni grammo in più al giorno di sodio aumenta del 20% il rischio di soffrirne

13 Aprile 2025
Rapporto stretto tra cibi salati e dermatite atopica. Ogni grammo in più al giorno di sodio aumenta del 20% il rischio di soffrirne

Quante volte incontriamo persone preoccupate per il continuo riattivarsi o per la persistenza della dermatite e deluse per la inefficacia dei trattamenti affrontati. 

Molte forme di dermatite o di eczema, classicamente definite di tipo “atopico” o considerate comunque allergiche, rispondono spesso ad un trattamento acuto con cortisonici o immunosoppressori locali ma, poco dopo la sospensione del trattamento, ricompaiono talora anche peggiorate e il trattamento cronico con antistaminici aiuta ma non rislove.

Un articolo pubblicato su JAMA Dermatology nel 2024 ha evidenziato il ruolo del sodio (quindi del “sale” presente negli alimenti) nella dermatite atopica scoprendo che per ogni grammo di sale in più nella dieta si ha un aumento compreso tra l’11 eil 20% della comparsa di dermatite, della sua attivazione e della sua severità.  

Per avere una idea di come sia facile assumere un grammo di sale in più con l’alimentazione basta pensare che lo si trova in una fettina sottile da 20 grammi di prosciutto crudo oppure in mezzo panino o ancora in un pezzetto di formaggio grana. 

Quando la dermatite non guarisce, anziché pensare solo ad allergie spesso inesistenti va capito se l'eccesso individuale di sale o di zuccheri (tutti) può indurre la comparsa dei sintomi.

Ma è anche possibile mangiare con gusto senza sovraccarsi di sale, come spiegato da Michela Speciani nell’articolo “Sale e salute: Metodi facili per limitare il sale”.

Nell’articolo di JAMA gli autori hanno valutato l’escrezione urinaria di sodio in circa 216.000 campioni registrati alla UK BioBank, evidenziando la correlazione con la presenza, l’attività e la severità della malattia (come spiegato anche da un articolo di Healio).

In aggiunta gli autori hanno anche valutato una coorte di validazione di 13.000 persone attraverso questionari alimentari diretti che hanno consentito di definire ben il 22% di rischio in più di presenza di dermatite per ogni grammo in più di sale utilizzato giornalmente nella dieta. 

Questo avviene anche se nella storia clinica si ritrovano tutti gli aspetti delle malattie allergiche classiche, con elevati livelli di IgE (Immunoglobuline E) verso alimenti o sostanze respiratorie (facilmente acari, muffe e spesso graminacee) per le quali anche i costosissimi trattamenti con sostanze biologiche “anti IgE” (come l’omalizumab) non sortiscono però effetti prolungati.

Quando si incontrano situazioni analoghe, la stessa mancanza di risultati dovrebbe portare subito a considerare il contenuto di sale negli alimenti utilizzati e gli aspetti di infiammazione o di glicazione presenti, ormai precisamente correlati a sintomi analoghi a quelli allergici, senza che l’allergia ne sia la vera causa.

Quando il classico trattamento antiallergico non porta alla guarigione, va cambiato il paradigma di riferimento per la terapia.

Abbiamo già discusso le relazioni tra gli zuccheri e le manifestazioni infiammatorie anche per altre patologie erroneamente ritenute solo allergiche, come l’asma, pubblicando  un articolo dal titolo “Né infezione né allergia: la tosse da cappuccio e brioche esiste” in cui abbiamo presentato tutti i dati scientifici che documentano questa realtà. 

Lo stesso effetto avviene anche per l’azione dei cibi ad alto contenuto salino e anche in questi casi si possono trovare eosinofili elevati (si innalzano infatti in risposta a stimoli alimentari specifici) e altre interleuchine (ad esempio la IL13) che sono su livelli più elevati del normale ma soprattutto si considera la presenza di una reazione infiammatoria chiamata appunto “infiammazione di tipo 2” (type 2 inflammation) per la quale sono utilizzabili, se vi si dovesse arrivare, specifici farmaci biologici. 

Ma nella pratica clinica il primo elemento da considerare oggi è quello della possibile infiammazione da alimenti (cibi con alto contenuto di lieviti sono ad esempio tra i maggiori apportatori di sale, pensando ai formaggi e ai prodotti da forno) e del livello di glicazione

Oggi è possibile diagnosticare e valutare entrambi questi aspetti attraverso il PerMé Medical Program e il Glyco Medical Program.

Una volta misurata glicazione e infiammazione da cibo è possibile impostare poi azioni terapeutiche nutrizionali personalizzate.

Ma ancor prima, leggendo l’articolo “Troppo sale sulle nostre tavole: 5 consigli su come ridurlo” è possibile impostare una azione di controllo adeguato sulla introduzione salina nella propria dieta. 

Infatti, nel centro SMA in cui lavoro, quando affrontiamo le malattie considerate allergiche, consideriamo sempre anche l’impronta metabolica e gli eccessi o le ripetizioni alimentari presenti sia nei bambini sia negli adulti e impostiamo per ogni persona specifici percorsi terapeutici personalizzati.

Si valuta quindi l’intero quadro infiammatorio dovuto agli alimenti e alla glicazione attraverso la misura del BAFF, del Metilgliossale, della Albumina glicata  e dei Grandi Gruppi Alimentari perché la risposta clinica in questi casi deve passare attraverso il controllo dell’infiammazione e della assunzione di tutti gli zuccheri come dei cibi ad alto contenuto salino portando alla riattivazione del metabolismo e alla riconquista del benessere personale.