Orticaria cronica: quando serve qualcosa in più
L’orticaria è uno dei tanti segnali d’allarme che l’organismo lancia verso l’esterno per evidenziare il superamento della propria capacità di controllo.
Quasi tutti ricordano, nel proprio passato, un qualche fenomeno di irritazione cutanea (con la pelle che si chiazza, si arrossa e prude) dopo avere mangiato un particolare alimento, dopo qualche giorno di antibiotico, dopo una doccia calda o una esposizione al freddo, durante un periodo di sovraccarico emotivo o in tante altre occasioni.
Si tratta in quel caso di forme di orticaria acuta, sporadiche e transitorie, spesso di breve durata, meritevoli di un contatto con il proprio medico ma nella maggior parte dei casi del tutto innocenti. È come se si accendesse una spia “di avvertimento” sul pannello di comando e si cambia l’antibiotico, si smettono gli stravizi, non si mangiano più il mango o l’ananas, si usano cautele maggiori quando si fa la doccia e l’orticaria non si presenta più.
È il vero senso del segnale d’allarme: si tocca o si mangia qualcosa e il corpo “si lamenta” quel tanto che basta per accorgersene e per trovare una soluzione alternativa.
Il problema vero è quando le manifestazioni di orticaria iniziano a ripetersi e soprattutto quando le classiche analisi di riferimento non danno risultati utili alla guarigione.
Non si riesce più a evidenziare una relazione diretta tra alimento, farmaco, situazione e reazione cutanea. L’irritazione sulla pelle dura più a lungo, si ripete nei modi più inaspettati e soprattutto la risposta ai farmaci può essere scarsa o nulla. È in quel momento che diventa necessario capire a fondo quali siano le cause o le concause di questo segnale d’allarme e in moltissimi casi gli effetti della glicazione e l’infiammazione a basso grado data dalla ripetuta assunzione di alcuni alimenti apparentemente “innocenti” sono tra le cause che si possono identificare (Test GEK Lab) e modificare per avviarsi verso la guarigione o almeno il controllo dei sintomi.
Una manifestazione di ponfi, prurito e orticaria che si mantenga nel tempo è sicuramente correlata anche a una condizione infiammatoria sistemica. Queste reazioni possono essere facilitate dalla presenza di un contesto infiammatorio che ha superato nell’organismo il “livello soglia” personale, come se l’organismo intero fosse sottoposto a uno stato di sollecitazione costante e fortemente correlato agli alimenti.
Dal 2017 è documentato scientificamente che sintomi allergici o simil-allergici, sia di tipo respiratorio sia di tipo alimentare, possono essere controllati abbassando il livello di infiammazione dovuta agli alimenti e agli zuccheri.
Quando l'orticaria non risponde agli antistaminici vanno studiate le citochine correlate al cibo
L’immunologia moderna ha permesso di capire come l’assunzione eccessiva o ripetuta di alimenti possa mantenere delle risposte infiammatorie responsabili dell’insorgenza o del mantenimento di numerose patologie, compresa l’orticaria e il fatto che una forma di orticaria sia poco sensibile agli antistaminici richiama immediatamente la necessità di ricercare, oltre alla valutazione medica, l’infiammazione correlata all’alimentazione valutando in particolare i livelli di PAF e il profilo alimentare individuale.
Un gruppo di ricercatori sudcoreani ha infatti pubblicato su Clinical and Translational Allergy, nel luglio 2019, una interessante ricerca sui livelli di PAF (Platelet Activating Factor) che aiutano a prevedere che l’orticaria non risponderà agli antistaminici (Ulambayar B et al, Clin Transl Allergy. 2019 Jul 17;9:33. doi: 10.1186/s13601-019-0275-6. eCollection 2019).
PAF è una delle molecole che da anni nel nostro centro studiamo per definire l’infiammazione correlata al cibo e che si innalza quando un alimento viene assunto in modo eccessivo o ripetitivo. Ne dipende che una valutazione di BAFF e di PAF e del profilo alimentare personale (effettuabile attraverso i Test GEK Lab) può consentire di ridurre il PAF attraverso una dieta corretta, e aiutare ogni persona malata di orticaria a recuperare la possibilità di un trattamento farmacologico (spesso gli antistaminici iniziano finalmente a funzionare dopo pochi giorni di dieta) e in molti casi a risolvere il problema.
Ricordiamo che di fronte a una orticaria ricorrente o cronica è sempre bene che un medico possa valutare anche le altre possibili cause del problema (ad esempio l’autoimmunità) per una valutazione completa del disturbo.
L’infiammazione da alimenti e da zuccheri può oggi essere misurata per arrivare a una impostazione terapeutica personalizzata. Test PerMè (che studia insieme l’infiammazione da alimenti e da zuccheri), Recaller 2.0 Test (BAFF, PAF e Profilo alimentare personale) e Glyco Test (Metilgliossale, Albumina glicata e predisposizione genetica a obesità e diabete) fanno ormai parte di una possibilità diagnostica utilizzabile da chiunque abbia cura della propria salute.
Il tema alimentare non si ferma però ai soli alimenti. Ormai è chiaro che le reazioni infiammatorie possono essere correlate ad almeno tre forme diverse di infiammazione e in particolare sta emergendo la necessità di capire come si sviluppino sintomi dovuti alla relazione con il cibo, dovuti a:
- eccesso o ripetizione di un tipo di alimento (che considera BAFF e PAF)
- alterata proporzione tra carboidrati e proteine
- eccesso di zuccheri e glicazione
Per questo, di fronte ad una orticaria cronica o che tenda a diventarlo, diventa necessario personalizzare le proprie impostazioni alimentari, capendo come rieducare l’organismo ad una alimentazione che non vada a determinare una risposta infiammatoria, allergica o similallergica.
L’infiammazione da alimenti e da zuccheri può oggi essere misurata per arrivare a una impostazione terapeutica personalizzata. Queste possibilità diagnostiche sono utilizzabili da chiunque abbia cura della propria salute e voglia non solo curare patologie in essere (come l’orticaria) ma anche gettare le basi della prevenzione delle possibili patologie infiammatorie e metaboliche future, che rappresentano oltre l’80% delle patologie croniche attualmente più diffuse.