Pillola antiobesità, ma “pro” cosa?
La pillola antiobesità, oggi accettata dalla FDA (U.S. Food and Drug Administration) ha come principio attivo la lorcaserina, un recettore antagonista per la serotonina a livello centrale. Il farmaco, di nome Belviq, è stato messo a punto negli scorsi anni dall’azienda Arena Pharmaceutical inc., con lo scopo di ridurre l’obesità e dovrebbe entrare in commercio entro il 2013. Il principio di funzionamento è quello del controllo della fame dando a livello centrale uno stimolo di serena sazietà.
Negli anni passati principi attivi dello stesso tipo sono stati ritirati perché correlati nel tempo a patologie connesse al mal funzionamento delle valvole cardiache. I vari trial sul funzionamento della lorcaserina, come quello pubblicato sul NEJM, tutti della durata di un paio di anni, hanno considerato con attenzione tale effetto, che sembra in questo caso scongiurato.
Tutto a posto dunque? Non esattamente: il farmaco era stato rifiutato dalla stessa FDA nel 2010 perché connesso nel modello animale con lo sviluppo di patologie neoplastiche (cancro).
La stessa azienda avrebbe quindi riproposto, appunto con due anni di intermezzo, la stessa pillola, specificando però che i rischi tumorali sarebbero presenti solo nei topi. È tuttavia da specificare che un farmaco che predisponga alla proliferazione tumorale impiega parecchi anni nell’uomo per manifestarsi. Il modello murino rappresenta o dovrebbe rappresentare lo scoglio etico sufficiente a non promuovere la cosiddetta sperimentazione di efficacia sull’uomo, che perdura anche a seguito della messa in commercio del farmaco o principio attivo. Ciò dovrebbe tanto più essere vero, se il termine in questione (lo sviluppo neoplastico) rappresenta la seconda causa di morte, dopo la patologia cardiovascolare, nei paesi occidentali per i quali il farmaco stesso è stato progettato.
Si considerino comunque gli “effettivi vantaggi” di una pillola detta “antiobesità”: gli studi condotti su ristrette parti di popolazione ed effettuati fino a questo momento hanno rilevato una perdita in peso del 5-10% rispetto al totale iniziale, in due anni di trattamento, essendo comunque questo associato a direttive nutrizionali e suggerimenti di esercizio fisico. Il 5-10% del peso corporeo in due anni significa passare da 120 a 102 chilogrammi nel migliore dei casi, senza alcuna specifica della provenienza di tale calo (ben diverso è se lo stesso è dato da perdita muscolare o di grasso).
Una pillola anoressizzante – qual è quella di cui si sta parlando – tende alla riduzione dell’introito portando il paziente, senza particolare impegno, alla naturale diminuzione delle calorie assunte. Il significato quindi è quello di una dieta ipocalorica (perché non regolata veramente) senza fatica. Ci si chieda dunque che significato abbia l’azzerare farmacologicamente il proprio senso di fame. La fame rappresenta un messaggio interno dell’organismo di importante ascolto e volto alla sopravvivenza: senza lo stimolo al cibo, si morirebbe “di fame senza fame”. Oltre ciò, si consideri che la stessa regolazione che oggi si vorrebbe ottenere tramite utilizzo di molecola sintetizzata in laboratorio, sarebbe producibile in maniera fisiologica, educando il proprio organismo tramite uso dei corretti segnali alimentari.
Fare una buona prima colazione che raccolga al suo interno carboidrati preferenzialmente integrali (pasta, pane, riso, cereali) e proteine (carne, pesce, uova, semi oleosi), accompagnati da una parte di grassi, permette una gestione meglio regolata delle calorie assunte durante la giornata proprio tramite modulazione endogena del senso di fame. Questo è solo uno dei segnali che naturalmente e in maniera semplice (senza peraltro doversi ridurre ad una dannosa ipocalorica), il senso di fame regolandolo sul reale ed effettivo bisogno dell’organismo. Una dieta che si fondi su tale tipo di approccio può veramente funzionare come una pillola antiobesità (e forse meglio visti i risultati sulla perdita di peso nei due anni di applicazione terapeutica), avendo davvero e con sicurezza qualcosa su cui scommettere nel futuro, diverso dal cancro o dalla patologia cardiaca e che fonda invece le sue basi nel benessere e nel recupero del fisiologico funzionamento dell’organismo.