Vaccino antinfluenzale efficace nel 35% dei casi. Considerazioni sul vaccino e verifica dei casi
Brutte notizie per chi sostiene a spada tratta la necessità di diffondere l’impiego dei vaccini. Un vaccino che abbia solo il 35% di efficacia può avere una utilità individuale, ma non è utile alla popolazione.
Lo studio australiano pubblicato sulla rivista “Vaccine” ha studiato persone di oltre 65 anni, proprio quelle che oggi maggiormente si cerca di vaccinare.
Una rigorosa meta-analisi (Vaccine, 2002 Mar 15;20(13-14):1831-36) segnala questi dati in modo inequivocabile. Sorge allora il dubbio che oltre a un ipotetico interesse per la salute, sia molto importante l’interesse commerciale, che spinge ad allargare la base di utilizzazione di un prodotto come questo.
Non solo il vaccino è solo parzialmente efficace in una popolazione come gli “over 65”, tradizionalmente considerati a rischio, ma oggi stiamo assistendo al tentativo di stimolare la vaccinazione antinfluenzale addirittura per i neonati e per i bambini inferiori ai due anni.
Vediamo in dettaglio cosa sta succedendo. Uno degli ultimi numeri del New England Journal of Medicine (NEJM, 2002 Dec 26;347:2097-103) ha evidenziato nella regione di Hong Kong una elevata ospedalizzazione per influenza nei bambini piccoli.
Un ‘arguto’ ragionamento deduttivo ha quindi portato l’editorialista di quello stesso numero (NEJM, 2002 Dec 26;347:2159-61) a proporre il vaccino antinfluenzale anche per i neonati. Si auspica dunque un’azione sui più deboli, dimenticando i possibili rischi connessi all’eccesso di stimolo sul sistema immunologico.
È interessante notare come, nonostante il NEJM citi dati relativi a una regione subtropicale, si finisca per suggerire un impiego del vaccino su vasta scala anche nei paesi temperati, come il nostro.
L’influenza è una strana cosa: da un lato ci si batte duramente perché la gente non confonda l’influenza con altre malattie, dall’altro nel rilevamento dei dati sull’efficacia del vaccino vengono accomunate influenza e sindromi similinfluenzali.
A metà settembre i titoloni sui maggiori giornali dicevano che prima di Natale 5 milioni di italiani sarebbero stati a letto con l’influenza. In quei giorni c’erano epidemie di febbre e raffreddamento.
La gente parlava di “influenza”, ma tutti gli esperti su giornali e televisione segnalavano che nessuno doveva pensare che la febbre e le epidemie di ottobre fossero influenza. Si ribadiva dovunque il fatto che si trattava di forme dovute ad altri virus. Saggio discorso, e infatti vediamo oggi che l’andamento dell’influenza (quella vera, con la I maiuscola) si può monitorare direttamente presso l’Istituto Superiore di Sanità.
Un rapido giro su questo sito istituzionale consente però di capire che i casi di influenza monitorati a livello nazionale e divulgati al pubblico sono casi di ‘ILI’ (Influenza-Like Illness) cioè i casi di faringite o febbre o raffreddamento influenzali, e tutti quelli dovuti agli altri virus in circolo che danno gli stessi sintomi.
E’ proprio strano: prima di Natale la gente chiamava ‘influenza’ il fatto di essere ammalati in massa di forme respiratorie o di mal di gola, e illustri scienziati ed istituzioni si premuravano di spiegare che non bisognava ragionare in modo così grossolano.
Invece adesso, passato il Natale, i dati sull’influenza (quella prevista, l’unica inconfondibile per cui si può somministrare il vaccino e per cui si spendono milioni di Euro in comunicazione televisiva e giornalistica) saranno accomunati a quelli delle comuni infezioni similinfluenzali, cioè esattamente come fa la gente del popolo.
Forse tutto va bene lo stesso, ma la credibilità istituzionale, a un esame un po’ più attento, potrebbe vacillare seriamente.
Noi ne abbiamo già parlato, spiegando che la prevenzione dell’influenza avviene anche in modo più naturale. Continuiamo a difendere il diritto di ciascuno a essere informato in modo critico per fare sì che la salute propria e dei propri figli non dipenda solo e sempre da indicazioni commerciali, ma da una ragionata scelta individuale.