Una nuova cura per la cefalea a grappolo. Ma il dolore torna quando la batteria si scarica
Tra le tante forme di emicrania che affliggono l’umanità ve n’è una, fortunatamente rara, che si distingue per la sua perfidia, tanto da essere stata ribattezzata “emicrania dei suicidi”.
Il suo nome, Cluster Headache (CH) ossia “cefalea a grappolo”, le deriva non dal tipo di dolore che procura, ma dalla insolita ciclicità con cui si manifesta. Le fasi acute tendono infatti ad addensarsi in “grappoli” di episodi dolorosi (ad esempio: un attacco al giorno per due mesi consecutivi), separati l’uno dall’altro da periodi relativamente lunghi di remissione (ad esempio: un anno).
Vi sono poi casi particolarmente sfortunati in cui la malattia, quasi rinnegando il suo nome, si cronicizza, manifestandosi con episodi magari più brevi (una ventina di minuti) ma implacabili, con fasi di remissione rare o del tutto assenti.
I sintomi della cefalea a grappolo non sono meno inconfondibili dei suoi bizzarri ritmi stagionali, tanto che la sua diagnosi è, per un neurologo esperto e perfino per un paziente sufficientemente provato dal male, di facilità elementare.
Il dolore, definito dai più come insopportabile e simile a quello che potrebbe procurare un ferro rovente infilzato nell’occhio, colpisce metà della testa, tendenzialmente sempre la stessa metà in ogni paziente, concentrandosi con speciale atrocità nel globo oculare e nella tempia. Le due metà del capo sono separate da una linea così definita e precisa che il sintomo più inconfondibile consiste nel gocciolamento di una sola narice.
La cefalea a grappolo, la cui genesi e le cui cause organiche permangono oscure, costituisce un esempio fin troppo luminoso del modo in cui la medicina corrente si preoccupa con determinazione esclusiva di eliminare i sintomi senza curarsi di estirpare il male alle radici.
È infatti ormai ampiamente dimostrato che ogni intervento farmacologico che si dimostri efficace nell’attenuazione o eliminazione del dolore, cessa – nel caso della cluster – di agire non appena la terapia viene interrotta: e il dolore torna subito a scatenarsi. Questo rende sostanzialmente impossibile trattare la cefalea a grappolo con gli antidolorifici, anche con quei pochi che servono a qualcosa, perché il paziente sarebbe condannato ad assumerli sempre, con effetti tossici devastanti.
La terapia più “antica”, quella con i sali di litio (largamente usati nel trattamento delle gravi forme di depressione), sconta lo stesso limite: quello di condannare all’assunzione cronica di farmaci un paziente sofferente di una malattia acuta.
Da qualche tempo la medicina (e perfino la chirurgia, ma con esiti spesso disastrosi) sta tentando altre strade, come dimostrano due recenti studi condotti in Belgio e in Gran Bretagna e apparsi rispettivamente su The Lancet Neurology (D Magis et al, The Lancet Neurology 2007 April, 6(4):314-321) e The Lancet (B Burns et al, The Lancet 2007 Mar 31, 369(9567):1099-1106).
Entrambi gli studi sono dedicati a una tecnica chiamata “elettrostimolazione del nervo occipitale”. Si tratta di impiantare in loco uno stimolatore elettrico a batteria, che viene mantenuto in sede definitivamente.
L’efficacia dell’intervento si direbbe ottima, con miglioramento sostanziale in oltre il 50% dei casi e “guarigione” completa in alcuni. Ma, a parte la numerosità davvero modesta del campione (appena 8 pazienti per ciascuno dei due studi!), l’asino finisce col cascare proprio là dove è sempre cascato.
L’effetto benefico della terapia cessa cioè nel momento stesso in cui la terapia si interrompe. Fenomeno che si manifesta nel caso dell’elettrostimolazione in modo ancor più macroscopico, perché l’interruzione della terapia consiste nel semplice esaurimento della batteria. Al prodursi di questo evento nefasto ma prima o poi inevitabile, il dolore si scatena con sbalorditiva immediatezza.
Ma allora non c’è nessuna speranza per i dannati della cefalea a grappolo? In verità sì, ce ne sono, ma la medicina mainstream si ostina a non prenderle in alcuna considerazione.
Risultati notevoli, con guarigioni davvero complete e definitive, sono stati raggiunti senza la somministrazione di alcun farmaco né l’impianto di alcun corpo estraneo: semplicemente con la dieta alimentare, fondata sulla preventiva indagine delle reattività alimentari del paziente.
L’autore di questo articolo può testimoniarlo: grazie al cambiamento delle abitudini alimentari e a un controllo ragionevolmente rigoroso della dieta, la sua cefalea a grappolo è in remissione da quasi vent’anni.
di Ezio Sinigaglia