Ma cosa mangiano i giamaicani?
Lo strapotere di Usain Bolt, il recentissimo campione olimpionico dei 100 metri piani, e detentore di un primato mondiale ottenuto “in scioltezza”, è sicuramente legato anche a caratteristiche genetiche e alla particolare composizione delle sue fibre muscolari (infatti i neri non eccellono nel nuoto, mentre eccellono nella corsa veloce e in quella di resistenza), ma non si tratta solo di questo.
Il fatto che anche nella gara dei 100 metri piani femminili il podio fosse composto dalla giamaicana Shelly-Ann Fraser e da due altre sue connazionali fa infatti pensare che in Giamaica, o comunque nella zona caraibica da cui proveniva la maggior parte degli altri finalisti delle due gare, esista un modo di alimentarsi che ha aiutato lo sviluppo di queste potenzialità.
Durante la gara dei 100 metri maschili (o almeno nelle infinite ripetizioni successive…), uno dei commentatori della TV italiana ribadiva la stranezza della alimentazione di quelle regioni.
Sembrava non riuscire a darsi pace del fatto che i “dolcetti” o le merendine fossero una rarità per la gente del posto e che invece l’alimentazione media fosse basata su una dominanza di apporto proteico, rappresentato da pollo, pesce, e fagioli. Sappiamo infatti che il caraibico medio affianca a queste proteine farine e cereali integrali, frutta, verdura e altre leguminose (sempre ricche di proteine) per una alimentazione sicuramente diversa da quella occidentale media.
La notevole riduzione dello zucchero semplice e la notevole dominanza di proteine alimentari sane è una delle caratteristiche che determina dei segnali metabolici importanti nell’organismo.
Negli ultimi anni si sta sempre più evidenziando il fatto che l’organismo risponda a segnali, a input specifici che attivano poi il metabolismo.
Anche nel caso del nuotatore Phelps si deve ipotizzare una particolarità di stimolo metabolico che modifica grandemente la quantità di calorie consumate. Neanche un atleta che stesse tutto il giorno in corsa costante per 8 ore potrebbe consumare 12.000 calorie. Questo significa che se Phelps non è obeso, lo deve al fatto che una caloria non è uguale ad una caloria, come sosteniamo da tempo.
Basta ad esempio modificare i segnali infiammatori interni per ottenere sul metabolismo effetti sorprendenti.
Ma tornando alla dieta dei nostri atleti caraibici, senza mettere in mezzo troppe ascendenze genetiche, che la scienza ha dimostrato non essere troppo determinanti, mi viene da pensare ad un altro grande campione, un certo signor Carl Lewis, che tra il 1984 e il 1993 ha ottenuto successi strepitosi come quelli di Bolt. La sua dieta di allora? Pesce, riso integrale, frutta e verdura. Una dieta senza zucchero (ma perché lo mettono negli integratori per gli atleti? Per farli assomigliare ad un soft drink?), ma ricca di proteine e di cibi a basso indice glicemico.
Non è solo la genetica. In rapporto all’Alzheimer, popolazioni geneticamente identiche, se mangiano sano non ne soffrono, mentre se mangiano classicamente all’americana, hanno tutte le patologie del mondo, oltre naturalmente all’Alzheimer.
Possiamo fare nostro qualche consiglio? Eliminare lo zucchero come dolcificante inutile. Usarlo solo nei dolci composti, ricchi, preparati con sapienza e secondo la tradizione, in occasioni rare. E cercare cibi a basso indice glicemico, abbinando meglio carboidrati e proteine. E a quel punto, se correte, attenti agli Autovelox!