La dieta giusta: per ricchi o per poveri?
Un recente “botta e risposta” su Repubblica ha stimolato in modo simpatico il dibattito sui costi della salute. Partendo dai livelli di obesità della popolazione, sicuramente più evidenti nelle regioni a basso reddito, un napoletano residente a Genova criticava, dalla pagina delle Lettere del giornale del 9 ottobre scorso, i possibili costi del benessere.
L’autore della lettera, per il quale comprare frutta e verdura sarebbe molto costoso, diceva di essere per questo obbligato a comperare per i figli le merendine più carboidratiche, più grasse e ovviamente meno care a disposizione sul mercato, usando poi carni grasse e di scarsa qualità e non potendosi permettere l’iscrizione a gruppi sportivi, tutti quotati dai 70 Euro in su al mese. Il signore napoletano concludeva sconsolato, dicendo che a Napoli le donne magre sono sempre state solo nei quartieri ricchi, mentre nei quartieri poveri sono sempre state destinate ad essere quasi tutte “chiattone”, prevedendo quindi, per questo evidente squilibrio sociale, un destino obeso per se stesso e per i propri figli.
A distanza di qualche giorno, la risposta di un altro lettore metteva in risalto un secondo tipo di ricchezza: per mangiare sano non serve infatti essere un Paperon de’ Paperoni, ma serve usare un po’ di saggezza antica. Raccontava come nella sua casa non fosse mai entrata una bibita dolce, nonostante le varie feste di compleanno e diceva che ai bambini le merendine semplicemente non si danno: né quelle a caro prezzo né quelle a basso costo. Una mela, un frutto, una fetta di pane olio e sale o una fetta di torta fatta in casa magari col pane avanzato e qualche mandorla sono cibi nutrienti, soddisfacenti che di basso non hanno solo l’indice glicemico ma anche il costo.
Un richiamo alla riduzione ecosostenibile dell’uso della carne e alla pratica del jogging, dal costo pari a zero, concludevano la lettera, lasciando intendere che il costo complessivo della salute non è in realtà così alto come qualcuno vuole fare credere. Certo, biologico è meglio, ma anche semplicemente il sicuro, anche se non di coltivazione organica, è comunque meglio che niente, e sicuramente meglio delle merendine.
Pur provenenedo io da una famiglia borghese (ma composta di due genitori e sette fratelli) ho la memoria serena di tanti acquisti fatti alla sera, dai negozianti di fronte a casa, al prezzo di “chiusura”, sicuramente vantaggioso, e di tante “gite all’ortomercato” con la vecchia Austin A40 della mamma per acquistare casse di mele pere o altra futta da condividere (a costo più basso che in negozio) con gli altri abitanti del condominio. Oggi ci sono gruppi di solidarietà che insegnano a non gettare il denaro in acquisti inutili e consentono, con un minimo di attenzione di potere programmare la propria vita in modo che il carburante sia quello giusto e che nessuna delle nostre donne o dei nostri uomini abbia più a essere chiamato “chiattone”.
Il destino e la programmazione della nostra salute, sono in mano nostra. Ognuno di noi ha a disposizione gli strumenti per mangiare sano mantenendo i costi entro un livello accettabile, evitando il controsenso di “tirare la cinghia diventando grassi…”