COVID: davvero ci si riammala?
Lunedì 24 agosto, l’Università di Hong Kong ha dichiarato che un uomo di 33 anni, ammalatosi in forma lieve di COVID-19 tra marzo e aprile scorsi e dichiarato poi guarito, al rientro dalla Spagna (via Gran Bretagna) ha nuovamente evidenziato, nei giorni scorsi, un tampone positivo per il SARS CoV-2.
La notizia ha immediatamente fatto il giro del mondo perché la possibilità di una reinfezione è un tema molto ”caldo” che contribuirebbe a precisare la capacità difensiva del sistema immunitario e la utilità o meno di alcuni vaccini rispetto ad altri. I ricercatori dell’Università hanno sottoposto la descrizione del caso clinico alla rivista medica internazionale Clinical Infectious Diseases che ha accettato la comunicazione, ma non la ha ancora pubblicata ufficialmente.
Medscape, una delle più importanti organizzazioni mondiali dedicata alla formazione dei medici e all’informazione, ha pubblicato la notizia lo stesso 24 di agosto (Hong Kong Researchers Report First Documented Coronavirus Reinfection, Medscape, Aug 24, 2020), descrivendo in modo dettagliato il significato di questo ritrovamento. Vanno tenuti presenti alcuni aspetti:
- Il virus che ha infettato quell’uomo a marzo è diverso da quello che lo ha infettato in agosto. L’infezione di agosto è legata ad un ceppo virale che ha subito una mutazione.
- Le condizioni cliniche di quell’uomo a marzo erano comunque legate ad una forma lieve di malattia e gli effetti di questa reinfezione sono stati nulli. La persona in questione era, ad agosto, in perfetta salute e del tutto asintomatica
Ora, un virus può sicuramente reinfettare una persona, ma questo non significa “malattia”. Facendo l’esempio di un comune raffreddore, in inverno moltissime persone hanno dei virus classici del raffreddamento (rinovirus) in gola e nel naso, ma non si ammalano assolutamente; sono “infetti” e spesso nemmeno contagiosi, ma non “malati”. Va considerato però se che questa presenza del virus potrebbe comunque facilitare il contagio di altre persone.
Manteniamo tutte le cautele possibili su questo aspetto, valutando i molti possibili fattori da tenere in considerazione. Solo per citarne alcuni:
- la persona in questione potrebbe avere sviluppato una capacità difensiva adeguata e il nuovo ceppo virale non è stato in grado di provocare malattia;
- la persona in questione ha avuto una malattia leggera a marzo e quindi non ha sviluppato anticorpi sufficienti ad impedire il contagio;
- non si riesce ancora a caratterizzare la possibile immunità cellulare che potrebbe essere enormemente diffusa tra la popolazione e giustificare una buona capacità di controllo rispetto al SARS CoV-2, qualunque mutazione presenti;
- un caso singolo, a fronte degli attuali 800.000 decessi mondiali e dei milioni di contagiati a livello mondiale, non ha nessuna caratteristica di rappresentatività.
Quell’uomo di 33 anni, quindi, non si è ammalato e soprattutto non si è riammalato. Gli è stato trovato un virus SARS CoV-2 nel tampone nasale, ma senza avere alcuna sintomatologia. Questo potrebbe essere inteso come capacità rilevante di mantenere difese elevate anche dopo una forma lieve di malattia.
Pur con tutte le cautele del caso, l’immagine che ne possiamo trarre è quella di una conferma possibile di una risposta immunologica adeguata che fa ben sperare sulla possibile diffusione del controllo immunologico futuro.
Si possono dormire dei sonni più tranquilli. La notizia sembra essere una notizia positiva e non una notizia preoccupante.
La base scientifica è quella che vince e purtroppo il fatto che quasi tutti i giornali e le riviste di diffusione abbiano sempre parlato di persona “riammalata” ha contribuito a creare confusione ulteriore e preoccupazione.
Non conoscendo a fondo questo virus e la sua storia (lo conosciamo da troppo poco tempo) è necessario essere pronti a studiare nuovi dati clinici mano a mano che arriveranno, secondo un criterio scientifico e senza lasciare spazio alla improvvisazione, neanche nei titoli dei giornali.
Quindi, per ora, sulla base dei dati attuali, non è possibile dire dire che ci si possa riammalare. Cauti, attenti agli sviluppi futuri, ma precisi sui dati di oggi.
E mentre ribadisco che i capisaldi della prevenzione del COVID restano quelli legati alla pulizia delle mani, alla protezione della bocca e del naso con la mascherina e alla applicazione di una distanza ragionevole tra le persone, segnalo, come già fatto in un precedente articolo, che l’utilizzo di alcuni integratori (Betamune, Vitamina C, Zinco, Rame e Selenio) può essere di forte supporto alla difesa dal virus, ricordando che vanno attentamente valutati gli aspetti di infiammazione dovuta agli zuccheri e agli alimenti per evitare o ridurre le possibili complicanze di una infezione che eventualmente diventi malattia.